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Ecco come papa Scalfari su Repubblica ha spiegato Papa Francesco sulle unioni civili

Scalfari, Gentiloni

Papa Francesco ha raddoppiato. Dispone non più di uno ma di due portavoce. Uno è religioso, padre Federico Lombardi, l’altro – pur virtuale – è un laico col quale tiene rapporti tanto frequenti quanto amichevoli, dei quali l’interessato mette ogni tanto al corrente i suoi lettori riferendo di telefonate e quant’altro. E’ Eugenio Scalfari. Che ha illuminato il Pontefice di un po’ dell’arcobaleno del sesso appena comparso allegramente su molte piazze italiane.

Con citazioni, in verità, per niente arbitrarie degli interventi ultimi o recenti di Francesco, il fondatore di Repubblica ha declassato da peccato ad “errore” quella che lo stesso Papa ha definito davanti ai giudici della Sacra Rota romana “la confusione” che si fa tra “la famiglia voluta da Dio”, composta di un uomo, donna e figli, e “ogni altro tipo di unione”, fatta da due uomini o due donne, con annessi e connessi.

Se “l’amore misericordioso”, peraltro rilanciato dal Giubileo in corso, spetta al peccato, a maggior ragione spetta all’errore che si commette sul versante della famiglia “per libera scelta o per infelici circostanze della vita”: parola di Papa.

D’altronde il concetto della famiglia eterosessuale ancora coltivato dai tradizionalisti che affollano anche la Curia sarebbe smentito nel passato, secondo Scalfari, dalla “gens romana” e oggi persino dall’abitudine consolidata di chiamare “famiglie” gli agglomerati della malavita, a cominciare da quella mafiosa.

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La causa delle unioni civili, e annessi, è talmente avvertita da Scalfari da avergli fatto scoprire, e naturalmente, apprezzare un Matteo Renzi diverso da quello da lui “parecchie volte” criticato. Sulle unioni civili, e connessi, il presidente del Consiglio si è guadagnato un bel 10 con lode dal suo severo censore sui versanti della riforma costituzionale, del referendum plebiscitario che ne concluderà il cammino e dei rapporti con Bruxelles e Berlino, impostati ormai, secondo Scalfari, più sul “nazionalismo” che sul progetto dell’Europa federale coltivato da Altiero Spinelli. Il cui ricordo, nel trentesimo anniversario della morte, ha dato l’occasione anche al presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano, presente il presidente effettivo, per avvertire e denunciare pure lui il rischio di un pur non nominato Renzi di scivolare sulla buccia nazionalista.

Va detto però che il presidente del Consiglio non si mostra sensibile a queste critiche, esplicite o implicite. Va avanti per la sua strada rivendicando, come ha fatto alla direzione del suo partito e poi in un discorso a Mantova, il “sacrosanto” diritto di difendere in sede europea, e altrove, l’altrettanto “sacrosanto interesse nazionale”. Ammonendo, per esempio, “i padroni dell’acciaio” di certi paesi dell’Unione Europea a togliersi dalla testa l’idea di fermarlo con ricorsi comunitari sulla strada del salvataggio dell’Ilva a Taranto. Dove a Bruxelles avvertono troppa puzza di aiuti di Stato.

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Più modesta è l’ambizione del presidente del Consiglio, anch’essa dichiarata davanti alla direzione del Pd, di “divertirsi” allo spettacolo gratuito che Forza Italia sta allestendo per partecipare al referendum confermativo di ottobre sulla riforma costituzionale sul versante del no a fianco di avversari storici di Silvio Berlusconi, fra i quali Renzi ha sarcasticamente preferito citare per prima “Magistratura democratica”.

E’ un sarcasmo, quello di Renzi contro l’ex presidente del Consiglio, pari a quello con il quale si schermisce in questi giorni Denis Verdini, l’ex braccio sinistro di Berlusconi, essendo notoriamente Gianni Letta il perdurante braccio destro.

Curiosamente intimidito dalle proteste levatesi nel Pd contro il carattere decisivo dei suoi voti nell’ultimo passaggio della riforma costituzionale al Senato, e penultimo dell’intero percorso parlamentare, anche il “volpone fiorentino”, come lo chiama Giampaolo Pansa, ha negato di fare ormai parte della maggioranza, o di aspirarvi. Gli basta e avanza l’affiancamento, da lui preferito all’affiliazione, che ha anche l’inconveniente di evocare riti massonici. Un affiancamento che gli ha appena consentito di ottenere per gli amici al Senato, in questo scampolo di sopravvivenza che gli resta, tre posti di vice presidente di commissione.

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Divertente per Renzi, ma non solo per lui, è anche lo spettacolo annunciato da Beppe Grillo al Corriere della Sera del “passo di lato” che ha deciso di compiere sul palco del Movimento 5 Stelle, di cui non aveva mai pensato –poveretto-  che diventasse un partito, o quasi, e lui il leader.

Impegnato anche in una tournèe vera da comico, giusto per tenersi in forma e guadagnare bene, come solo lui sa fare, e probabilmente deluso, se non spaventato, dai pasticci che i pentastellati riescono a fare dove per sventura elettorale arrivano al potere, Grillo finisce per lasciare più spazio non al famoso direttorio ma ai riccioli e al berretto di Gianroberto Casaleggio. Per fortuna c’è ancora l’Universo, con le sue stelle vere.

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