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Saipem, che cosa succede tra Italia e Russia su Nord Stream?

Colloqui in corso tra Palazzo Chigi e il Cremlino. Oggetto: ancora una volta l’energia, in particolare il gas. Lo stesso oro blu che ha provocato, nel Consiglio europeo del 17 dicembre scorso, un vivace scambio di vedute tra la presidenza del Consiglio italiano e la cancelliera tedesca Angela Merkel. Al centro di un recente dialogo tra Matteo Renzi e Vladimir Putin ci sarebbe stata infatti la possibile partecipazione di Saipem – controllata di Eni specializzata nella perforazione e la messa in produzione di pozzi petroliferi e nella costruzione di oleodotti e gasdotti – al raddoppio di North Stream. Andiamo con ordine.

I BATTIBECCHI SU NORTH STREAM

Proprio i lavori sulla pipeline, aveva raccontato il 15 dicembre il Financial Times, sono stati alla base della posizione italiana di aprire in sede comunitaria un dibattito politico sulle sanzioni alla Russia e fermarne il rinnovo automatico di sei mesi. L’Italia, evidenziò allora il quotidiano britannico, è irritata per la condotta dei vertici dell’Unione che da un lato hanno deciso di fare i rigorosi sulle misure economiche per la crisi di Kiev e abbandonare South Stream, un altro progetto di gasdotto che avrebbe collegato la Russia all’Europa e del quale Eni era uno dei maggiori investitori; dall’altro concedono il potenziamento di un’altra infrastruttura energetica – North Stream, appunto – sostenuta dalla Germania. Da qui la richiesta italiana alla Commissione, fatta durante il citato Consiglio europeo, di esprimere un parere sulla “uniformità alle norme europee” riguardo al coinvolgimento tedesco nell’infrastruttura.

LA TELEFONATA

Ora si fa largo sulla stampa l’ipotesi di un’entrata di Saipem. Nel fine settimana si è tenuto un colloquio telefonico tra il premier italiano e Putin, con l’obiettivo – raccontano le cronache – di “proseguire il lavoro congiunto a beneficio dell’implementazione dei progetti energetici vantaggiosi per entrambi”. In particolare, il presidente russo “si sarebbe impegnato a studiare l’ingresso dell’Italia, attraverso il gruppo Eni nel raddoppio del gasdotto North Stream 2 per trasportare gas russo in Europa attraverso la Germania bypassando l’Ucraina”.

L’IPOTESI…

Ma come e, soprattutto perché? L’idea al momento in discussione, scrivono sulla Stampa Marco Zatterin, Luigi Grassia e Fabio Martini, “è uno scambio fra quote del gasdotto North Stream e azioni della Saipem. Un gruppo italiano entrerebbe nel capitale di North Stream mentre la russa Rosneft diventerebbe socia di Saipem, rilevando la partecipazione dell’Eni. Poi la russa Gazprom sarebbe felice di affidare alla stessa Saipem (diventata in parte russa) la posa dei tubi del raddoppio del gasdotto”.

…E LE RAGIONI

Alla base di questa possibile scelta, rileva ancora il giornale diretto da Maurizio Molinari, ci sarebbero diverse ragioni. In primo luogo “Putin tiene molto a concludere perché ha necessità di assicurarsi vendite di metano sicure e durature in Europa”. E poi “l’Eni completerebbe in questo modo l’uscita dal capitale di Saipem che ha avviato con la cessione di una parte della sua quota alla Cdp”. Anche se, “resta da chiarire quale gruppo privato, fosse pure a controllo pubblico ma quotato in Borsa, potrebbe essere disposto a entrare nel capitale del North Stream”. Il Cane a sei zampe, aggiunge il quotidiano torinese, “si profila favorevole a cedere Saipem a Rosneft ma non a entrare nel Nord Stream. Il gruppo ha vissuto con favore l’uscita da South Stream e non vuole entrare in un’altra attività di trasporto del gas. Neanche Saipem è una candidata naturale all’ingresso nel capitale di North Stream: costruisce gasdotti, non li possiede e non li gestisce. Snam, che invece possiede e gestisce proprio i gasdotti, non è più dell’Eni (Eni ha solo un 4% legato a un bond convertibile che scade fra pochi giorni), quindi non può essere costretta a entrare nello scambio, e il suo business è solo il trasporto di gas regolato in ambito Ue, non quello al di fuori dei confini europei, che considera rischioso”.

LE PAROLE DI DESCALZI

Questo scenario è stato infatti smentito dall’amministratore delegato del Cane a sei zampe, Claudio Descalzi. Eni, riporta Reuters, “non considera al momento né per il futuro un ingresso della società come azionista nel progetto del raddoppio di Nord Stream per portare il gas dalla Russia in Germania via Balcani bypassando l’Ucraina. A dirlo è l’ad della major petrolifera italiana… a margine di una presentazione”.
Queste le sue parole: “In North Stream l’ingresso di Eni non è mai stato considerato nel progetto come azionista. Non è all’ordine del giorno”, ha sottolineato. No anche a cedere ulteriori quote di Saipem: “Nessuna cessione di quote Saipem. Che poi Saipem possa lavorare come contrattista per Nord Stream – cita anche Repubblica – ce lo auguriamo tutti. Ma escludo in questo momento, e anche per il prossimo futuro, una cessione di quote soprattutto a questi prezzi”. Entro il primo trimestre, prosegue Reuters, “è previsto che Eni ceda il 12,5% di Saipem al Fondo strategico italiano. Tornando sulla questione del raddoppio del gasdotto Nord Stream, che come scritto da alcuni quotidiani sarebbe stato oggetto di discussione fra il premier italiano e Putin, Descalzi ha aggiunto: “Da un punto di vista strategico non siamo una società che fa trasporto di gas e petrolio se non per quello proprio”.

IL PARERE DI BERLAYMONT

Anche se tutte le tessere fossero al loro posto, poi, ricordano gli esperti di Equita citati da Mf/Milano Finanza, “il progetto deve ancora avere l’autorizzazione della Commissione europea secondo le regole del terzo pacchetto energetico e le politiche di antitrust Ue”. E “i primi rumor provenienti da Bruxelles lasciano immaginare che le stesse obiezioni per South Stream vengano avanzate anche per il Nord Stream 2, ossia che le infrastrutture una volta giunte su suolo europeo devono essere rese disponibili a soggetti terzi per la distribuzione del gas”, spiegano gli analisti.

I RISCHI

Inoltre, sulla partecipazione di Saipem al raddoppio del gasdotto, si addensano anche dubbi di natura politica. Se la cosa si concretizzasse, si legge in un’analisi di Policy Sonar, società di consulenza guidata da Francesco Galietti, i rilievi posti in Europa da Renzi “si rivelerebbero un mero espediente tattico, una mossa mercantile” che svenderebbe “influenza in cambio di contratti”. Con buona pace della “grande strategia narrativa di un riequilibrio nelle importazioni di energia tra Nord e Sud Europa” e con “la Germania, il principale beneficiario del progetto”, che rafforzerebbe il suo potere “nei confronti del resto” del Vecchio continente. In più, prosegue la riflessione, “il corteggiamento di Renzi a Putin rischierebbe di complicare un approccio coordinato europeo su questioni scottanti come l’Ucraina, la Siria e la Libia” e, allo stesso tempo, renderebbe l’Italia “sempre più dipendente dalle importazioni di gas russo”.

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