“Il sadismo del potere negativo e l’omertà: storia di un conflitto non risolto tra emozioni, cultura e ignoranza” sono il titolo ed il sottotitolo di un bel libro di Luisa Verdi (è un nom de plume) edito da Aracne. È praticamente la storia di un mobbing (tecnicamente potremmo definirlo un bossing, visto che i responsabili della prevaricazione erano i “superiori” dell’autrice). Il fatto è che il comportamento lesivo della dignità della protagonista del racconto (che è poi anche l’autrice) ha avuto luogo all’interno di una grande organizzazione sindacale (non si dice quale, ma basta leggere qualche parola per individuarne l’acronimo) ad opera di dirigenti anch’essi non nominati, ma facilmente riconoscibili, se solo si dispone di un minimo di confidenza con quel mondo.
Chi scrive – pur avendo capito tutto – ha intenzione di rispettare il riserbo di Luisa e, pertanto, non darà alcuna indicazione che consenta di individuare il sindacato e i dirigenti evocati nel testo. Il libro è ben scritto, con uno stile che ricorda il dialogo, spesso confuso e spezzato, di un paziente con il suo analista durante una seduta. Le sensazioni vengono e vanno come se fosse un sogno a portarle, quasi senza soluzione di continuità. Le pagine sono intrise di un dolore che serpeggia implacabile tra le righe e che si trasmette al lettore. L’autrice comincia raccontando la sua storia in famiglia: “Io non sono nata in una famiglia normale – è scritto – ma in un piccolo clan unito e forte in realtà diviso da mille conflitti e da rivalità reciproche”. Due fratelli avevano sposato due sorelle e vissuto assieme molto tempo. Così Luisa ha avuto, in pratica, due padri e due madri, nonché cugini e cugine come fratelli e sorelle. Poi la ricerca dell’emancipazione, della ricerca del proprio percorso di vita nella scoperta della politica, nel lavoro del sindacato, dove, tra le compagne e i compagni, Luisa incontra l’affetto di un marito che poi “sta con un’altra che lavora con lui e mi guarda storto tutte le volte che mi incontra per le scale”.
Una volta ho letto da qualche parte che una donna non riesce a tollerare di essere lasciata per una più brutta di lei. Anche Luisa si attiene alla regola quando scrive che la rivale “è presuntuosa, bruttina ma vincente”. Il marito “ha lasciato me per lei ed io – aggiunge Luisa – sono stata molto umiliata dalla situazione” anche per come lui ha raccontato in giro i motivi della fine del loro rapporto. Poi nel sindacato c’è l’incontro con il “giovane leader” di cui l’autrice si innamora: “il giovane leader è diversissimo (dall’ex marito, ndr). Non me ne sono accorta ma ho deposto su di lui il desiderio del mio amore. Senza saperlo seguo la sua pista”. Ed è da questo sentimento travagliato che esplode quella crisi psicologica latente che non si è ancora conclusa, nonostante tanti anni di lunga e travaglia ricerca dentro se stessa. “Nel mio ricordo – scrive – a livello profondo il giovane leader è rimasto nell’ambiguità e nell’ambivalenza: ne sono attratta ma allo stesso tempo lo sento nemico. Non ho mai saputo e non saprò mai quanto quella doppiezza fosse in me e quanta in lui, quanto fosse reale e quanto recitata nella sceneggiata congressuale’’. Il senso di questa storia la riassume, nel Commento psichiatrico che segue la prefazione al libro, il medico curante di Luisa: “…sposta tutto il mondo di odio di casa sua nell’ambiente di lavoro (dove lei sperava di essere redenta) trovando invece… incomprensione, miseria di sentimenti, pettegolezzi, un muro di gelo e una feroce lotta per il potere”.
“La politica non si fa con la purezza”: ecco una frase che circolava nell’ambiente. Il dramma di Luisa si consuma durante un Congresso sindacale alla presenza del “giovane leader”. Quei momenti riappaiono nello scritto con la prepotenza dell’allucinazione, lontani nel tempo ma presenti nella memoria. Ma è il dolore il vero protagonista del libro. Un dolore che penetra nell’animo di chi legge. In fondo come ha ricordato, citando Eschilo, Giuseppe Berto ne “Il Male oscuro” (il suo capolavoro): “tacere è dolore ma anche parlare è dolore”. Una pagina, nel libro, mi ha colpito particolarmente, quando Luisa racconta del suicidio della sua cagnolina Tai. “La notte non dorme. Mi fissa. Ha capito che la voglio lasciare. Poi la sera dopo la diamo ad altri amici che la legano in giardino. La mattina dopo la trovano strangolata. Lei si è avvolta nel guinzaglio e ha praticamente sputato la lingua”.