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Perché vado al Family day

Il 20 giugno 2015 un milione di italiani ha invaso Piazza S. Giovanni a dimostrare alla politica il no della maggioranza del popolo italiano all’imposizione dell’ideologia gender nelle scuole, il no alla parificazione tra la famiglia – unica realtà capace di aprirsi alla vita – e altri tipi di unione e il no alle adozioni per persone dello stesso sesso (previo ricorso all’utero in affitto) sul presupposto di buon senso e immediata evidenza che ogni bambino ha diritto a una mamma e un papà. Il governo Renzi non ne ha tenuto conto e, con una incredibile forzatura, anche costituzionale (v. art. 72 Cost.), ha spedito in aula il ddl Cirinnà senza nemmeno concludere l’esame in commissione. Sicché quel popolo – che tutti i sondaggi certificano ampiamente maggioritario nel paese – si è nuovamente autoconvocato per il 30 gennaio, stavolta al Circo Massimo, il più grande edificio per lo spettacolo di tutti i tempi.

Da cittadino, marito e padre, ancor prima che da politico, ci sarò. Anzi, porterò con me in pullman tanti amici che hanno espresso il desiderio di vivere quella che sarà la più grande manifestazione di sempre a difesa della famiglia e del diritto di ogni bambino ad avere una mamma e un papà e invito tutti i salentini e i pugliesi a prendervi parte.

Ci sarò perché con “i diritti” questo ddl non centra nulla e perché non è vero che “serve una legge purchessia”. Il nostro ordinamento già riconosce diritti individuali ai componenti le coppie di fatto, incluse quelle composte da persone dello stesso sesso: dalla successione nel contratto di locazione a seguito della morte del convivente (Corte Cost. Sent. 404/1988) alla vista in carcere al partner (D.P.R 230/2000), dall’assegnazione dell’alloggio nelle case di edilizia popolare (Corte Cost., Sent. 559/1989) alla facoltà di astenersi dalla testimonianza contro il partner in sede penale (art. 199 c.p.p.), dalla risarcibilità del convivente omosessuale per fatto illecito del terzo (Cass. Civ., SS.UU., Sent. 26972/08) ai permessi retribuiti per decesso o per grave infermità del convivente (L. 53/2000). E nessuna manifestazione, tanto meno quella di sabato prossimo, intende negarli. Un testo unico che mette insieme questi diritti per una disciplina compiuta delle unioni civili, anche dello stesso sesso, giace in Parlamento (nn. 1745S e 2969C): avrebbe avuto approvazione pressoché unanime e poca resistenza, ma evidentemente ciò che interessa ai centravanti lgbt, di cui il PD e il M5S hanno inteso farsi interpreti, non sono i diritti, ma i bambini.

Ci sarò, dunque, in difesa del diritto dei bambini ad avere un papà e una mamma. Questo ddl non intende disciplinare le unioni civili – come si dice – ma punta a molto di più: tramite giochi di prestigio legislativi introduce il matrimonio tra persone dello stesso sesso e vuole la equiparazione ai figli naturali anche dei bambini nati da utero in affitto. La stepchild adoption prevista è proprio questo: uno dei partner omosessuali dell’unione, affittando (a pagamento) l’utero di una donna, si procura un figlio all’estero che poi, una volta giunto in Italia, viene adottato dall’altro partner. È una pratica così aberrante che anche le femministe di Se non ora quando e dirigenti comuniste storiche, hanno definito abominevole dando voce al disagio anche di parte della sinistra.

Ci sarò perché non è vero che “tutto il mondo va in questa direzione, l’Italia è indietro” o “ce lo impone L’Europa”. Il matrimonio tra persone dello stesso sesso con diritti di filiazione è ammesso in 28 paesi su 198 (il 10% della popolazione), l’utero in affitto è fuorilegge in 190 paesi. Le corti europee poi affermano solo che devono essere riconosciuti i “diritti fondamentali” dei conviventi omosessuali, ma lasciano piena libertà agli stati, precisando peraltro che non c’è alcun obbligo d’includere l’adozione.

Ci sarò perché il ddl Renzi-Cirinnà è incostituzionale anche per profili di merito. Lo hanno evidenziato autorevoli giuristi, compresi ex presidenti e giudici della Corte Costituzionale, sulla stampa e attraverso un appello promosso dal Centro Studi Livatino che ha raccolto ad oggi oltre 500 adesioni. Soprattutto lo ha fatto trapelare qualche giorno fa, senza essere smentito, il Presidente della Repubblica: quella legge non va bene perché prevede un regime identico a quello del matrimonio, riprendendo alla lettera le formule che il codice civile adopera per disciplinare l’unione fra i coniugi e aprendo proprio per questo la strada a una parificazione totale delle posizioni giuridiche (compresa la legittimazione alla adozione) tra il matrimonio e il paramatrimonio tra persone dello stesso sesso. Il che contrasta con la Costituzione, il cui art. 29 non lascia dubbi, come ribadito anche da costante giurisprudenza della stessa Consulta.

Per intenderci, questo significa che, quand’anche la stepchild adoption fosse modificata, trasformata o addirittura stralciata, poiché per le unioni civili è prevista una disciplina identica a quella del matrimonio, in modo rapido prima o poi si arriverebbe comunque all’adozione (previo affitto di utero all’estero), magari per via giurisprudenziale. Quel testo, perciò, non può essere in alcun modo emendato e va abbandonato.
Per farlo capire sabato prossimo, con l’apprezzamento dei Vescovi italiani e con il sostegno dato dalle chiare parole di Papa Francesco giunte una settimana prima dell’evento, scenderà in piazza l’Italia reale: una valanga di persone di ogni età e fede tenuta insieme dall’amore per per la verità, per la famiglia e per i bambini, che non possono essere privati della ricchezza di crescere nella complementarietà e differenza di ruoli che la natura ha voluto indicare in una famiglia costituita da un padre e una madre.

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