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Perché contesto le adozioni nel ddl Cirinnà

La più reiterata discussione politica che il nostro Paese conosca, quella relativa ai cosiddetti diritti civili, sta tornando nuovamente al centro del dibattito pubblico. Si tratta di un cavallo di battaglia del centrosinistra dall’epoca di Romano Prodi e Walter Veltroni. Allora come oggi, infatti, il fronte dei favorevoli all’estensione dei diritti individuali oltre la definizione costituzionale di famiglia e il fronte dei contrari divide i gruppi parlamentari, scompostamente lacerati dalla linea di confine interna che separa cattolici e laici.

Lasciando a margine le liste di proscrizione per i 30 dissidenti del PD che si oppongono alla stepchild adoption, vale a dire all’estensione del diritto di una coppia omosessuale di adottare un bambino, in realtà non solo a sinistra si finisce sempre per arrovellarsi sulle stesse questioni: il matrimonio come atto pubblico è o non è riservato solo a soggetti di sesso diverso che formano una famiglia?

È possibile crescere ed educare bene un piccolo da parte di due persone che non sono biologicamente idonee per natura a generarlo?

Problemi di enorme portata, e pertanto di non facile soluzione, soprattutto se non si è in grado di cogliere le sfumature rilevanti che si accompagnano al concetto stesso di diritto umano.

Proviamo a riflettere un momento.

In passato il matrimonio e la famiglia erano considerati soggetti sociali pubblici qualificati e legittimati a formare una serie di libertà e una serie di obblighi reciproci tra i contraenti, marito e moglie. La società occidentale, dal diritto romano in giù, era fondata sul matrimonio in questo senso. Il motorino di avviamento di una comunità compatta era la cellula primitiva che ne sorregge il tessuto connettivo: la famiglia fondata sul matrimonio. Principio di garanzia per i coniugi. Principio di garanzia per i figli. Con l’avvento della modernità hanno fatto la propria comparsa nella storia i cosiddetti diritti individuali, ossia quelle prerogative del singolo che egli può rivendicare davanti e all’interno della società: libertà di coscienza, di opinione, di partecipazione e anche di auto affermazione della propria sessualità.

Lo scontro tra queste due prospettive la ritroviamo ovunque, perfino in questa discussione odierna interna al PD.

La crescita dei diritti individuali in contrasto con i doveri sociali è andata di pari passo con l’affermarsi sempre maggiore dei primi a svantaggio dei secondi. Noi tutti vogliamo una società dei diritti, e non una comunità dei doveri.

Ebbene se si resta in questo quadro dialettico non se ne viene a capo. C’è chi agisce e chi reagisce in modo contrario, finendo per arrestarsi in un tira e molla senza fine.

Il punto importante è viceversa costituito da un problema di merito, trascurato senza giustificazione da tutti. Di che diritti umani parliamo quando iscriviamo le adozioni gay in questo percorso progressivo e accumulativo di libertà individuali?

Sì perché una persona umana non ha soltanto uno spazio di libertà che gli deriva dalla sua volontà. Un uomo o una donna arrivano ad avere diritti individuali solo se altri diritti più profondi che precedono la libertà sono già stati affermati. Si tratta di quanto permette a un bambino di diventare adulto, di essere cresciuto dai genitori, mamma e papà, in un clima relativamente sereno; e più ancora il sacrosanto ed originario diritto biologico alla propria identità personale, corporea e intellettuale, legata indissolubilmente alla presenza chiara di una genitorialità il cui significato è radicato nella parte più profonda dell’essere persona viva e concreta.

Orbene, è chiaro che il senso del matrimonio oggi non può essere più univocamente espresso come dovere sociale. È chiaro che due omosessuali hanno il diritto individuale di sancire la loro unione e di riconoscersi, se lo vogliono, assistenza e sussistenza economica. Ma non possiamo mescolare, confondere e generare dissidio tra i diritti biologici della persona, ossia quanto è indispensabile per avere identità pienamente definita, e i diritti civili, che sono invece sviluppo in crescita della libertà.

Le adozioni gay non sono un diritto civile legittimo perché ledono il diritto biologico di un’altra persona indifesa a veder salvaguardata con la presenza di un padre e di una madre la costituzione in essere della propria individualità.

Non è in nome della pubblica utilità o dell’organico mantenimento conservativo di una comunità che la famiglia si fonda sul libero patto di un uomo e di una donna.

È sulla salvaguardia del diritto biologico del nascituro o dell’adottato, cui i due soggetti di sesso diverso si impegnano reciprocamente a garantire e proteggere l’identità naturale del suo essere persona.

Perciò l’unione di due omosessuali può diventare un matrimonio ma non può mai diventare famiglia. E le adozioni gay non sono un diritto civile in più, ma un abuso e un indebolimento del diritto biologico originario di una persona ad avere un padre e una madre in corrispondenza genetica con le condizioni che per natura sono richieste affinché un bambino possa essere, nascere e crescere come persona umana libera, adulta e responsabile.


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