La chimica italiana non verrà dismessa. Anzi verrà potenziata: questo almeno è quello che si ricava dalle ultime dichiarazioni dell’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, il quale ha citato gli investimenti – il rilancio del settore ha bisogno di risorse per un 1 miliardo e mezzo – che potranno essere messi in campo quando verrà sancito l’ingresso in Versalis di un partner straniero. Tutto bene, quindi, ed eccessive le preoccupazioni degli enti locali di tutta Italia, delle imprese dell’indotto, dei lavoratori e dei sindacati e di quanti continuano a vedere nella chimica una delle opportunità di crescita del nostro Paese? La risposta sta a metà.
Va benissimo che Eni abbia in mente una “strategia lunga” per Versalis. Ma in questa strategia di ampio respiro sarebbe da valutare un coinvolgimento diretto del “super piano industriale” che vede protagonista la Cassa depositi e prestiti dal 2016 fino al 2020. Come sappiamo è un piano da 265 miliardi (163 miliardi per imprese italiane e internazionali) che punta a sostenere la crescita dell’economia: gli strumenti sono la ‘Promozione delle soluzioni’ e il ‘Partenariato pubblico privato’.
Questo scenario, che vedrebbe sia il coinvolgimento di un partner straniero che di Cdp a mio vedere potrebbe essere un primo passo verso il rilancio e il completamento dell’offerta della chimica italiana. Un ruolo attivo di Cassa depositi e prestiti (anche temporaneamente) che si ponga come soggetto di garanzia, proprio grazie allo strumento del ‘Partenariato pubblico privato’: avrebbe come effetto un aumento della massa di denaro da inserire; e si otterrebbe un altro effetto virtuoso, perché sia le risorse messe sul tavolo dal partner straniero sia quelle pubbliche non verrebbero sprecate.
E avrebbe anche l’effetto di assicurare i lavoratori che verrebbero completati gli investimenti previsti nel piano industriale: stiamo parlando di 1 miliardo e 500 milioni. E anche la garanzia, perché no, su un possibile percorso in borsa di Versalis per completare la sua capitalizzazione ‘long term’. E, infine, anche un futuro coinvolgimento nell’azionariato degli oltre 5 mila lavoratori.
Questo ruolo di garanzia di Cdp non significa finanziare imprese decotte o ritornare alla logica della giustamente archiviata Iri, ma di puntare sulle attività che sappiamo potere essere competitive. Come la chimica italiana che, vale la pena ricordarlo, non solo è una delle attività trainanti con un valore della produzione di 54,3 miliardi, pari al 10 per cento della produzione totale europea, ma è anche uno dei settori che genera i risultati più significativi dal punto di vista della ricerca (e… dei brevetti) svolta non solo dai grandi gruppi ma anche da tante piccole e medie imprese. La diffusione dell’attività di ricerca e sviluppo nel settore chimico è doppia, il 48 per cento, rispetto a quella dell’industria manifatturiera (23 per cento); ed è persino superiore a quella sviluppata dal settore dell’alta tecnologia (44 per cento).
La domanda che mi sentirei di porre a Descalzi è questa: dove sarà investito questo miliardo e mezzo di risorse? Perché ci sono filiere produttive come Ravenna, Ferrara e il quadrilatero padano in generale che sono realtà ‘cutting edge’ e con investimenti adeguati sarebbero in grado di restare concorrenziali nel panorama chimico mondiale, garantendo occupazione di alto profilo.
Articolo pubblicato sul Corriere della Sera-inserto imprese emiliaromagna