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L’Egitto, la Libia e la guerra a Isis

Il rapporto tra Piramidi e Colosseo (ma in mezzo c’è la Libia) non è mai stato così stretto come in quest’ultimo biennio.

Le ragioni sono molteplici. Spaziano da un’amicizia tradizionale e dalla comunanza di interessi culturali tra Egitto e Italia fino a tutta una serie di assetti geopolitici, economici e commerciali che in questo momento si incrociano con la particolare situazione politico-militare nell’area, Libia compresa. Il generale Khalifa Belqasim Haftar, uomo forte e discusso del governo di Tobruk, gode del supporto del generale Abdel Fattah al-Sisi, preoccupato delle possibili infiltrazioni di terroristi attraverso la lunga frontiera desertica tra Libia ed Egitto.

E di altre “infiltrazioni”, magari con passaporto e visto, che all’occhio dei volonterosi guardiani di qualsiasi “governo forte”, seppure innocui studenti, possono apparire come cospiratori o pericolosi sobillatori. Lo sappiamo, abbiamo avuto altre esperienze e dovremmo tenerne conto. Però in Nord Africa, pur aderendo e sostenendo tutte le iniziative dell’Onu, abbiamo puntato molto e fin dall’inizio su questi due personaggi, con Haftar che ama definirsi come un al-Sisi libico e già si immagina destinato, in doppiopetto grigio, a più augusti destini.

È vero, forse i due citati generali non sono proprio un purissimo distillato di democrazia, ma, nell’attuale situazione, è evidente che sarebbe improduttivo e ridicolo fare gli schizzinosi. Non ci sono alternative. Sappiamo bene che stabilità e democrazia in certe parti del mondo possono essere conflittuali, e ciò che ne deriva può essere non del tutto appetibile ai nostri delicati palati. E meno ancora per quello delle Ue, che quando ha l’acqua alla gola ripudia tutto e tutti, tranne che banche ed affari. Ma, fatta salva l’Algeria, l’Egitto in crescita è il più importante mercato italiano in Africa, e una Libia stabilizzata potrebbe seguire a ruota.

Certo, l’investimento è ad alto rischio, e sarà bene mantenere alta la guardia. C’è un’interrelazione, abbiamo detto, tra Egitto e Libia. La caccia senza quartiere ai Fratelli Musulmani sta facendo regredire un certo numero di giovani egiziani verso una sorta di clandestinità jihadista che potrebbe rendere loro estremamente gradito l’abbraccio con l’Isis libico, e viceversa. Gli effetti destabilizzanti su tutto il Nord Africa sarebbero subito evidenti.

Ne consegue che la priorità va data alla lotta all’Isis, favorendo la costituzione di una forza di terra, non necessariamente sotto un unico comando, come auspicabile, ma almeno con un unico obiettivo. Meglio se coordinata da chi, per professione, lo deve saper fare: è il generale Haftar, con supporto egiziano anche sul terreno. Oltre le milizie fedeli a Tobruk, in Libia ve ne sono anche altre, che di sottomissione all’Isis non ne vogliono proprio sentir parlare. A Ovest e Sud Ovest, poi, Tunisia ed Algeria avrebbero tutto l’interesse a cooperare nella distruzione dei guerrieri del Califfo.

Forse questa tela si sta già ordendo, e qui noi possiamo essere di aiuto. Ma occorre fare presto, perché mentre l’Occidente doverosamente discute, patrocinando soluzioni al momento impossibili, l’Isis in Libia cresce, rischiando di portare il contagio sia a Est che a Ovest. Oltre che a Nord. In questa fase, l’Occidente può anche offrire un supporto indiretto, ma sono i nordafricani – ed è nel loro precipuo interesse – che devono decidere di sporcarsi le mani.

Poi, una volta estirpato il tumore, si potrà anche ritornare a pensare a un governo unitario. Forse, persino con qualche possibilità di successo.

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