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Obama, Kobler e Renzi. Tutte le ultime novità sulla Libia

Le settimane che secondo il capo dello stato maggiore congiunto americano Joseph Dunford ci dividono dall’intervento militare in Libia scorrono inesorabili e le notizie su piani militari, praticamente già in fase operativa, si susseguono. Eric Schmitt del New York Times racconta dalla sue fonti di un Barack Obamapressed” dai militari che ritengono una minaccia troppo grossa lo Stato islamico libico per non ampliare al paese nordafricano le missioni “anti Isis” (che ultimamente Washington sta incrementando).

Le stime crescono: quelli che secondo report autunnali erano non più di tremila baghdadisti, dalle ultime valutazioni citate dal NYTimes sono diventati tra i cinque e i seimila; da altre parti la forbice cresce fino a ottomila. Indipendentemente dal valore assoluto, un dato è più o meno certo: lo Stato islamico in Libia è cresciuto di numero a causa del fatto che diversi combattenti della regione anziché viaggiare fino alla Siria o all’Iraq per unirsi al jihad del Califfo, si stanno spostando in Libia. Sono giornaliere le notizie di arresti da parte della Tunisia, del Marocco, dell’Algeria, di elementi che si stanno spostando o che stanno reclutando proseliti.

MODELLO IRAQ

I principali giornali italiani replicano a quelli stranieri (per esempio, negli ultimi giorni il Figaro francese e l’inglese Sunday Times, oltre al New York Times che ormai si dedica alla Libia quotidianamente), e indicano che anche il nostro Paese è lanciata nella pianificazione militare. L’intervento, come scrive Fabio Martini sulla Stampa sarà sul “modello Iraq”, ossia, attacchi aerei, presenza di advisor da affiancare ad alcune milizie scelte che faranno da veri e propri boots on the ground, addestramento di altri reparti, qualche blitz delle operazioni speciali. La Stampa ha un dettaglio interessante: dice che l’Italia e l’Inghilterra guideranno la missione, mentre la Francia si occuperà del sud (che è la vera area di interesse per Parigi, che sta conducendo nel Sahel un’altra missione contro altri gruppi combattenti estremisti) mentre invece “i tedeschi si sono ritagliati un ruolo nell’addestramento militare, in Tunisia” (armiamoci e partite, un po’ poco per il paese dell’attuale negoziatore Onu Martin Kobler, anche alla luce delle parole della ministro della Difesa Ursula von der Leyen che la scorsa settimana si dichiarava pronta ad un’azione immediata; ma forse Berlino adotta al solito una posizione saggia, di coinvolgimento molto soft, sebbene la linea tedesca potrebbe cambiare alla luce dei fatti che iniziano a coinvolgerla, come quello della cellula Isis sgominata giovedì a Berlino).

Tra conferme e smentite (in realtà ormai più conferme) si ripete continuamente che forze speciali occidentali si troverebbero già sul campo per preparare l’intervento, che forse ritarda proprio per due ordine di difficoltà che queste unità stanno incontrando. Primo, starebbero da tempo (oltre un anno, qualcuno dice) cercando di trovare partner affidabili sul terreno, da poter addestrare e dirigere contro l’Isis, ma la frammentazione della milizie è endemica e molecolare, le pone l’una in competizione con l’altra, e genera episodi come quello che ha coinvolto un commando americano atterrato a dicembre nella base di al Watiyah, dove i soldati mandati da Washington pensavano di trovare una fazione amica, pronta ad accoglierli amichevolmente, ma ne hanno trovata un’altra che li ha fatti rimbarcare immediatamente minacciando di arrestarli. Di più, anche sul fatto più volte citato che siano le milizie di Misurata a condurre queste operazioni appoggiate dagli occidentali, c’è tutt’altro che chiarezza: fonti dal posto smentiscono, altri occidentali lo danno quasi per assodato. Esempio: Ismail Shukri, il capo dei servizi segreti di Misurata, è un personaggio molto mediatico, rilascia interviste continuamente, l’ultima pubblicata mercoledì dalla BBC in cui Shukri dice che l’azione delle sue truppe coordinate con quelle occidentali è imminente, ma i reporter inglesi dicono di non aver notato segni evidenti di ciò.

La stessa confusione che c’è intorno allo Stato islamico, che in questi giorni è impegnato in operazioni di propaganda di vario genere (conferenze, predicazioni, esecuzione delle spie/infedeli/nemici), e combatte a Bengasi e pare abbia conquistato un’area ad est di Misurata: il secondo ordine di problemi che forse stanno rallentando l’intervento, è infatti che ad oggi è difficile ricostruire un organigramma dell’Isis in Libia, e dunque è complicato mettere sotto osservazione i leader, i loro spostamenti, i loro programmi. Le forze speciali sarebbero sul posto anche per cercare di inquadrare potenziali obiettivi, che però o non sono ancora chiari, o sono coperti da un assoluto e marmoreo segreto, l’unico a non essere scalfato dalle fughe di notizie che continuamente riguardano i preparativi sulla Libia.

IL GNA NON PARTE

Altro aspetto che rallenta l’intervento, è l’assenza di una controparte politica locale. In teoria tutti concordano che dovrebbe essere il nuovo governo di concordia creato sotto egida Onu, il GNA (Government of National Accord), ma in realtà l’esecutivo guidato da Fajez Serraj è un fantasma che vive su un piano distaccato rispetto alle dinamiche reali del paese.

Un esempio: oggi Kobler e Serraj hanno salutato il governo tunisino che ha ospitato i lavori del wannabe esecutivo libico in un hotel della capitale. Si sposteranno in Marocco, aumentando ulteriormente anche il distacco fisico-geografico dalla Libia. È anche in virtù di questo stallo politico che quelle pressioni militari trovano un Obama piuttosto scettico sul farsi coinvolgere in un altro intervento di counter-terrorism in un altro paese paese “martoriato” (come scrive il Nyt).

“Gli organi di governo della Libia devono ancora affrontare problemi di neutralità e di rappresentanza che ostacolano la loro capacità di governare in modo efficace”, scrive l’analista italiano Mattia Toaldo dell’Ecfr sul sito del Carnegie Endowment. Il rischio è che il GNA diventi il terzo governo libico a non controllare il paese. I rappresentanti dello Small Group, i principali della Coalizione che combatte lo Stato islamico, secondo una nota del dipartimento di Stato americano avrebbero chiesto al Consiglio presidenziale libico (l’organo istituzionale momentaneo del GNA) di sottoporre al voto del parlamento di Tobruk, che ha l’autorità riconosciuta a livello internazionale, il nuovo governo entro lunedì 8 febbraio.

Intanto giovedì 4 febbraio il Parlamento Europeo ha votato una risoluzione che accoglie con favore l’accordo di Skhirat siglato il 17 dicembre e offre sostegno al futuro governo di concordia e alle istituzioni a lui collegate, inquadrandolo come unico referenti in Libia. Meglio tardi che mai, a proposito di scollatura con la realtà.

 (Foto: Twitter, un incontro di propaganda dell’Isis a Sirte)

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