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Come si stanno trasformando i 5 Stelle di Grillo e Casaleggio

GIANROBERTO CASALEGGIO

Partito anti-sistema è quel partito che, potendo, cambierebbe il sistema politico-costituzionale. A lungo, la qualifica è stata, correttamente, utilizzata, nel caso italiano post-1945, per il Movimento Sociale Italiano e per il Partito Comunista Italiano. Il primo avrebbe voluto una repubblica presidenziale e un’economia corporativa. Comunque, avrebbe fatto carta straccia della Costituzione italiana. Il secondo si sarebbe tenuto la Costituzione che aveva contribuito a scrivere, ma l’avrebbe probabilmente svuotata dei suoi contrappesi e avrebbe dato vita a un’economia totalmente pianificata. Il PCI avrebbe anche cambiato una parte importante della Costituzione materiale: la collocazione internazionale dell’Italia. La buona notizia è che la Costituzione italiana, sia o no, “la più bella del mondo”, ha dimostrato di essere solida, flessibile, “resiliente”. Ha contrastato le sfide anti-sistema e polarizzanti. Le ha sconfitte. Ha obbligato i due partiti antisistema a diventare, se volevano contare qualcosa, partiti dentro il sistema.

E’ una lezione da non dimenticare. Forse è una lezione che serve a comprendere anche la traiettoria del Movimento 5 Stelle. Sicuramente, se potesse, il Movimento cambierebbe il sistema politico-costituzionale. Mi limito a tre punti importanti. Primo: il tetto a due soli mandati parlamentari. Secondo: il vincolo di mandato. Terzo: la fuoruscita dall’Euro e, forse, anche dall’Europa. I primi due punti distruggerebbero la flessibilità del modello di governo parlamentare. Il terzo punto indebolirebbe enormemente il ruolo dell’Italia in Europa e, per quel poco che ha attualmente, nel mondo.

Nessuno di questi tre punti è stato abbandonato dal 2013 a oggi e neppure significativamente ridefinito. Quello che potrebbe consentire di sostenere che il Movimento 5 Stelle non è più antisistema sono una serie di comportamenti parlamentari tenuti in maniera crescente e diffusa. Comincerò dalla pretesa degli eletti 5 Stelle di essere chiamati “cittadini” che rivelava, da un lato, la loro totale incomprensione del ruolo che erano chiamati a svolgere, dall’altro, una deplorevole concessione al populismo. No, “uno non vale uno” e un parlamentare non è un semplice cittadino e non può, anzi, non deve ritenersi tale poiché ha compiti importanti e specifici che lo rendono interlocutore dei semplici cittadini. La dizione è sostanzialmente sparita anche perché, certo faticosamente, la maggior parte dei parlamentari del Movimento 5 Stelle hanno imparato che la politica e il Parlamento hanno regole da rispettare, anche quando le si voglia cambiare. Seconda trasformazione importante: le 5 Stelle si sono rese conto che da soli su molte tematiche e sulla scelta di molte cariche non sarebbero andati da nessuna parte. Irrilevanti. Testimoniare è un’attività nobile. Esibire la diversità può essere gratificante, ma per contare e per fare contare i voti dei loro elettori, che è un modo, non l’unico, di interpretare il mandato, bisogna entrare in una serie di relazioni con gli altri gruppi parlamentari, a cominciare dal più grande: quello del Partito Democratico.

Un gruppo parlamentare forte può diventare una minoranza di blocco, come, per l’appunto, nell’elezione presidenziale. E’ stato così anche nell’elezione dei giudici costituzionali, ma chi vuole sbloccare la situazione deve contrattare, obbligare a compromessi, trarre il meglio dalle situazioni date. Questo hanno fatto le 5 Stelle in occasione dell’elezione di tre giudici costituzionali, sventando, grazie al loro candidato, ma anche alla sostituzione di uno dei candidati, un pasticcio brutto, a metà fra una penetrazione tutta nazarena oppure troppo renziana nella Corte Costituzionale. La nomina di un loro candidato nel Consiglio d’Amministrazione della Rai a fare il commissario politico che può sventare decisioni eccessivamente renzian-nazareniane e funzionare da deterrente, è un’altra conseguenza del fare politica dentro il sistema.

Il Parlamento italiano non è un’aula sorda e grigia. Non è, però, neppure un Palazzo di vetro. Come molti parlamenti democratici assolve, talvolta senza che i suoi frequentatori se ne accorgano, due compiti cruciali. Quando, seppur malamente, cerca di controllare l’operato del governo, comunica, attraverso un po’ di distorsione mediatica, con i cittadini-elettori. Anche se la curva di attenzione dei cittadini raramente s’impenna, i parlamentari cercano di fare vedere le loro proposte, le loro capacità, il loro stile. Tutto questo può essere fatto in maniera più efficace nella misura in cui i parlamentari apprendono le regole. Questa è la forza di un Parlamento: la socializzazione degli eletti, che non vuole necessariamente dire addomesticamento, ma obbligo di tenere comportamenti consoni, come scrivere emendamenti, quali ordini del giorno imporre, come influire sull’agenda dei lavori.

Dunque, il Movimento 5 Stelle è stato domato dal Parlamento e, aggiungerei, senza nessun intento provocatorio, dalla democrazia competitiva italiana, ancorché di modesta qualità? Non è più antisistema? Concluderò così. Il Movimento si muove nel sistema. Non ha abbandonato i suoi principi anti-sistema. Se potrà attuarli o no, se cioè la sua carica scardinerà il sistema politico-costituzionale attuale, lo sapremo soltanto quando, grazie alla straordinaria opportunità che gli offre l’Italicum, conseguirà la maggioranza assoluta alla Camera dei Deputati. Hic Italicum hic salta.

(Articolo uscito sull’ultimo numero della rivista Formiche)


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