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Saipem, ecco segreti e nuovi soci dopo l’aumento di capitale

Cala una volta per tutte il sipario sull’aumento di capitale da 3,5 miliardi di Saipem. E accade una cosa piuttosto inconsueta: oltre il 10% delle azioni di nuova emissione non viene sottoscritto nel corso dell’operazione e le banche del consorzio di garanzia si trovano costrette a scendere in campo diventando socie.
I RISULTATI DEFINITIVI DELL’OPERAZIONE
La sera del 19 febbraio la società che opera nel settore dei servizi petroliferi ed è guidata dall’amministratore delegato Stefano Cao ha comunicato che per portare a termine la ricapitalizzazione gli istituti garanti dovranno intervenire sottoscrivendo 1,18 miliardi di azioni per un valore complessivo di 427 milioni di euro. Lo scorso 11 febbraio l’offerta di azioni in opzione si era conclusa con sottoscrizioni pari all’87,8% del totale. I diritti inoptati erano stati offerti in Borsa, come da prassi, nei giorni successivi e gli investitori, al secondo giorno di offerta, avevano comprato tutti i 53,6 milioni di titoli che davano diritto a sottoscrivere azioni. Il problema però è arrivato quando si è trattato di tramutare queste opzioni in vere e proprie azioni, sottoscrivendole: è avvenuto solo per 22 titoli. E siccome ogni diritto dava la possibilità di “prenotare” 22 azioni, sembra proprio che ne sia stato esercitato solo uno. In altre parole, le azioni non sottoscritte sono praticamente rimaste invariate al 12,2% dell’inoptato. Ecco che così, per completare l’operazione, interverranno le banche del consorzio, ossia Goldman Sachs e Jp Morgan, che lo guidano, ma anche le altre che ne fanno parte, cioè Banca Imi, Citigroup, Deutsche Bank, Mediobanca, Unicredit, Hsbc Bank, Bnp Paribas, Abn Amro e Dnb Markets.
I MOTIVI DEL FLOP
E’ molto raro che un aumento di capitale richieda l’intervento del consorzio di garanzia per oltre il 10% dell’operazione. Ma cos’è successo? Innanzi tutto, bisogna cercare di capire perché i diritti inoptati non si sono tradotti in azioni effettivamente sottoscritte. Ogni opzione, che ormai valeva praticamente zero, dava la possibilità di “comprare” 22 nuove azioni a 0,362 euro l’una. Ma in Borsa le azioni stazionano a valori ben più bassi: venerdì 19 febbraio hanno terminato a 0,33 euro per titolo dopo una flessione giornaliera del 4,45%; e questo dopo che il 12 febbraio erano affondate fino a lambire quota 0,2828 euro. E’ chiaro quindi che se qualcuno avesse voluto acquistare le azioni Saipem avrebbe pagato meno passando dalla Borsa piuttosto che dalla ricapitalizzazione. A questo è legato uno dei principali motivi del flop della ricapitalizzazione: il crollo delle Borse che si è verificato in corrispondenza dell’operazione. Un movimento che di certo non era prevedibile (almeno non in questo modo) e che ha reso particolarmente sfortunata la tempistica scelta per l’aumento di capitale.
Ma il crollo delle Borse, a sua volta, è connesso a doppio filo con il calo del petrolio, di recente sceso fin sotto quota 30 dollari al barile. Una forte flessione che danneggia la Saipem, che ha modulato l’ultimo piano industriale su prezzi del greggio ben maggiori.
E ORA COSA SUCCEDE?
E ora con le banche che diventano azioniste della società che succederà? E’ verosimile che gli istituti di credito non vogliano restare soci in un’ottica di lungo termine, ragion per cui analisti e addetti ai lavori si aspettano, nell’immediato futuro, qualche ulteriore pressione ribassista sull’azione in Borsa per via delle probabili venditi degli istituti di credito. Se davvero fosse così, per il Fondo strategico italiano (Fsi) della Cassa depositi e prestiti (Cdp) presieduta da Claudio Costamagna e guidata da Fabio Gallia, le minusvalenze potenziali sull’investimento rischierebbero di aumentare. Va infatti ricordato che Fsi, poco prima dell’aumento, ha comprato da Eni (rimasta al 30% circa diSaipem) il 12,5% della società guidata da Stefano Cao al prezzo che oggi appare esorbitante di 8,4 euro per azione. Il fondo, tuttavia, partecipando all’aumento di capitale per l’intera partecipazione, dovrebbe avere abbassato il prezzo di carico di ogni singolo titolo ben al di sotto di quota 1 euro, ma ancora molto al di sopra delle attuali quotazioni di Borsa. Si dice che Costamagna avrebbe preferito un ingresso dell’Fsi in Saipem direttamente attraverso l’aumento. Col senno di poi, la minusvalenza potenziale sarebbe stata molto inferiore.

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