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Tutti gli elogi (e le punzecchiature) di Roberto Morassut

Lo ha scritto quando ancora la sua candidatura alle primarie romane del Partito Democratico non era stata ufficializzata, ma in fondo – tra le pagine del suo ultimo libro – sono rintracciabili i motivi che lo hanno poi portato a correre per il Campidoglio. “Roma senza Capitale” (Ponte Sisto Edizioni) – scritto da Roberto Morassut insieme all’ex vicedirettore dell’Unità Pietro Spataro – è un’utile guida per capire cosa pensa e propone il deputato dem che ambisce ad amministrare la città eterna (prima dovrà però vincere la concorrenza degli altri candidati alle primarie: Roberto Giachetti, Stefano Pedica, Domenico Rossi e Gianfranco Mascia).

ROMA SENZA CAPITALE

Un titolo di per sé già indicativo della fotografia di partenza da cui Morassut prende le mosse per le sue riflessioni. L’istantanea di una città in crisi, fiaccata dallo scandalo Mafia Capitale e dalla fine dell’amministrazione di Ignazio Marino, alle prese con ataviche inefficienze e annosi problemi a cui sembra sempre più difficile porre rimedio. Intervistato da Spataro, Morassut ripercorre un bel pezzo della storia politica di Roma. I successi, i fallimenti, le questioni aperte e le tante cose ancora da fare, per renderla una città “più europea, con standard di funzionamento, coesione sociale e internazionalizzazione superiori a quelli attuali”.

LA PROSPETTIVA ROMANA

Un percorso politico, quello di Morassut, che ha avuto a Roma il suo baricentro, fin da quando negli anni ’80 fece parte della segreteria cittadina del PCI. Poi – dopo l’adesione alla svolta della Bolognina di Achille Occhetto – l’incarico come segretario romano del PDS, il lavoro in giunta durato due mandati come assessore all’Urbanistica di Walter Veltroni, l’elezione alla Camera (di cui è ancora membro) e l’impegno come segretario regionale del Pd laziale. Morassut analizza in particolare,i 15 anni del centrosinistra a Roma con le amministrazioni di Francesco Rutelli e Veltroni, il quinquennio di Gianni Alemanno e, infine, la breve stagione Marino. Una valutazione nella quale non mancano gli spunti polemici e i giudizi – a volte positivi e a volte negativi – su alcuni dei personaggi che in questi anni hanno intrecciato il loro cammino con quello di Roma.

I LIMITI DEL PD ROMANO

Una delle critiche più dure Morassut la riserva al Pd romano di cui denuncia “i limiti sia politici che amministrativi”, con l’aggravante “di essersi chiuso in una dimensione esclusivamente di potere”.  Un processo di involuzione – sostiene Morassut – innescatosi subito dopo la vittoria di Alemanno alle elezioni amministrative del 2008, a cui si reagì senza una riflessione seria sulle ragioni della sconfitta e alla quale seguì in consiglio comunale “un’opposizione consociativa”.

LA BOCCIATURA DI MARINO

Da questa inadeguatezza – dice ancora Morassut – è poi nata la candidatura di Marino nel 2013. “Sorge il dubbio che egli sia stato alla fine un alibi o una scommessa per coprire o per lenire i gravi limiti e la decadenza di un’organizzazione politica che da tempo aveva abbandonato la politica”. Il giudizio nei confronti dell’ex sindaco – che adesso minaccia di candidarsi di nuovo per il Campidoglio con Sinistra Italiana, in chiara contrapposizione al Pd – è netto. Morassut parla di “astrattezza nei rapporti con la città reale”, di “caratteristiche tendenti alla comunicazione istintiva e allo spot”, di “vocazione al conflitto”. Ad esempio, quando racconta della pedonalizzazione di via dei Fori Imperiali – questione a lungo dibattuta a Roma e rivendicata con forza da Marino – Morassut definisce l’approccio dell’ex primo cittadino “schematico ed inutilmente propagandistico”.

GLI OMISSIS SU BETTINI

Il deputato dem non cita però i nomi di chi volle la candidatura a sindaco di Marino. Un gruppo eterogeno di persone che comprendeva alcuni esponenti di spicco di Sel e guidato dallo storico kingmaker del centrosinistra romano Goffredo Bettini. Lo stesso Bettini che adesso – così raccontano le cronache romane – sarebbe in campo per sostenere la corsa di Morassut alle primarie (qui un approfondimento di Formiche.net sul tema).

LA CURA BUROCRATICA DI ORFINI

Tra i giudizi che emergono più nitidamente dal libro, c’è certamente quello negativo sull’operato di Matteo Orfini come commissario straordinario. “Ancora oggi la vita interna del Pd romano è dominata da un gioco di consorterie” commenta Morassut, facendo chiaramente intendere che i risultati del commissariamento non siano stati soddisfacenti. Secondo il candidato alle primarie, quella messa in atto è “una cura burocratica ai problemi del Pd romano che però non risolve niente. E’ davvero assurdo che in un anno non ci sia stato un solo momento per coinvolgere in una discussione aperta i nostri iscritti, quelli che hanno preso la tessera liberamente e senza ordini di scuderia”.

DIVERSAMENTE RENZIANO

Che Morassut non si senta un rappresentante della minoranza dem – che pure lo appoggia senza se e senza ma preferendolo al renzianissimo Giachetti – si comprende da due elementi. Innanzitutto quando difende Matteo Renzi dall’accusa – avanzata da molti, tra cui Marino – di essersi a lungo disinteressato di Roma, salvo poi entrare a gamba tesa. “Renzi non si è tenuto alla larga dalla crisi romana. Ricostruiamo le cose nel modo giusto” risponde a Spataro. Prima di aggiungere che oggi uno dei principali problemi è rappresentato dal fatto che gli elettori credano in Renzi mentre diffidino di molta della classe dirigente del Pd nel resto del Paese.

LE VECCHIE RUGGINI CON D’ALEMA

Altro indizio in questo senso è il sassolino che si toglie quando parla di Massimo D’Alema. Il leader maximo Morassut lo cita solo una volta, per ricordare che ai tempi della segreteria Pd targata Veltroni, “mentre eravamo nella fase più difficile e di avvio del nuovo partito, c’era chi faceva tesseramenti paralleli ad organizzazioni ombra e che apriva delle televisioni come Red”. Quel qualcuno, ovviamente, era proprio D’Alema.

L’INDULGENZA VERSO I COSTRUTTORI

Non solo di politica in senso stretto parla però Morassut, che nel libro-intervista si concentra anche sulla sua esperienza amministrativa in Campidoglio. Da assessore all’urbanistica, fece approvare nel 2008 il nuovo Piano Regolatore di Roma. Una posizione che lo ha inevitabilmente portato a conoscere e dialogare con la discussa categoria dei costruttori romani, sul cui ruolo e sulla cui influenza si sono scritte negli anni migliaia di pagine. Da questo punto di vista, il giudizio di Morassut appare indulgente e volto a ridimensionare il potere dei cosiddetti “palazzinari”. “I costruttori non stati che uno dei nostri interlocutori e, se devo dire la verità, nemmeno quello fondamentale. Questa idea che a Roma esistano i palazzinari che comandano tutto, fa ridere. Personalmente i rapporti che ho avuto con il mondo dell’impresa edilizia o con singoli operatori è stato sempre e rigorosamente di carattere istituzionale”.

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