Un abbonamento all’Unità, o un altro per un amico, se ha già avuto la generosità di sottoscriverne uno per sé, sarebbe quanto meno dovuto da Achille Occhetto di fronte agli auguri che il giornale gli ha fatto per l’ottantesimo compleanno con un articolo celebrativo di Fabrizio Rondolino. Per giunta, proprio nel numero in cui il direttore Erasmo D’Angelis, cercando con disinvolta furbizia di ridurne la portata ma senza poter negare gli affanni economici della nuova edizione della vecchia testata storica comunista fondata nel 1924 da Antonio Gramsci, si è appellato ad amici e compagni perché gli diano una mano, nel vero senso della parola. Una mano per portare la diffusione del quotidiano alla soglia di sicurezza sinora mancata anche per il fuoco, diciamo così, amico dei circoli e dei militanti affezionati alla “ditta” pre-renziana.
Rondolino ha francamente dato ad Occhetto, mettendogli addosso anche le sembianze di Ringo Starr, lo storico batterista dei Beatles, più di quanto non gli spettasse sul piano storico, politico e persino umano. Ma, pur capendo la comprensione dovuta a un compagno che compie 80 anni, il punto è che gli errori di Occhetto, o Akel, come lo chiamavano e forse ancora lo chiamano gli amici, sono costati un po’ troppo alla sinistra. E, di riflesso, per i suoi ritardi, al Paese. Ritardi ai quali Matteo Renzi sta cercando di porre rimedio tra non poche difficoltà.
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Occhetto non è solo l’uomo del coraggio, ricordato da Rondolino, di prendere la scorciatoia di una sezione bolognese, nell’autunno del 1989, saltando il forse insormontabile ma dovuto passaggio del Comitato Centrale, per impostare un’operazione di salvataggio del Pci fra le macerie del muro comunista di Berlino con un nuovo nome e un nuovo simbolo: il Pds al posto del Pci e la quercia sopra la falce e il martello. Né si possono far derivare da quel suo coraggio, dall’istinto un po’ felino, persino i due pur brevi passaggi di Massimo D’Alema a Palazzo Chigi e i 7 anni più 2 di Giorgio Napolitano al Quirinale.
Se fosse dipeso da Occhetto, se cioè egli fosse rimasto dov’era, la sinistra ex o post-comunista non avrebbe avuto né Palazzo Chigi né il Colle più alto di Roma, essendo stati quegli obbiettivi raggiunti proprio grazie al fatto che Occhetto era uscito di scena e aveva preso altre strade: quelle di un generico e inconcludente movimentismo politico, intinto anche in un “rancore” che Rondolino gli ha dovuto rimproverare, fra una carezza e l’altra.
Occhetto, peraltro sostituendo il povero infartato Alessandro Natta ancora in ospedale, come lo stesso Natta avrebbe poi dolorosamente raccontato ricordando di avere appreso la notizia dalla radio, aveva realmente ereditato un partito “moribondo”. Che era stato sconfitto da Bettino Craxi con un referendum sui tagli alla scala mobile voluto dallo stesso Pci. Ma con Craxi il segretario dell’allora Pds-ex Pci continuò a cercare uno scontro soltanto distruttivo, sino a trasformare, o lasciare trasformare, in una “devastante esplosione nucleare”, secondo l’indovinata espressione di Rondolino, la “forza di Tangentopoli”, cioè la vicenda giudiziaria di Mani pulite.
Le cose finirono come finirono. Craxi si rifugiò ad Hammamet per morirvi dopo qualche anno e la “gioiosa macchina da guerra” della sinistra allestita e guidata da Occhetto andò rovinosamente a sbattere contro Silvio Berlusconi. Ciò accadde con una cocente sconfitta della quale Massimo D’Alema fece pagare subito il prezzo ad Occhetto con la stessa ruvidezza usata dallo stesso Occhetto nel 1989 per succedere a Natta. Le cose nella vita, si sa, si fanno e si ricevono.
Fu per la tempestività di liberarsi in fretta di Occhetto che poi D’Alema, commettendo però per me un altro errore, arrivò nel 1998 a Palazzo Chigi per rimanervi solo un anno e mezzo. Più utile ad una sinistra riformista sarebbe stato profittare della caduta di Romano Prodi, avvenuta per mano della sinistra estrema, per affrontare un turno salvifico di elezioni anticipate. Si sarebbe forse risparmiata, il povero D’Alema, l’impietosa rottamazione comminatagli dopo una ventina d’anni da Renzi.
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Particolarmente generoso con Occhetto è stato il silenzio di Rondolino sul tragico passaggio politico della primavera del 1993. Quando, formato il governo di Carlo Azeglio Ciampi con la partecipazione di uomini del Pds-ex Pci, Occhetto andò dall’allora segretario della Dc Mino Martinazzoli a chiedere, come prova di vero cambiamento politico, un voto pregiudiziale dei democristiani nell’aula di Montecitorio contro Craxi, per le autorizzazioni a procedere pervenute nei suoi riguardi dalla Procura di Milano ed altre.
Il povero Martinazzoli, che pure non era un novellino della politica, trasecolò. Giustamente inorridì all’idea di poter forzare la coscienza dei suoi parlamentari, liberi di votare come volevano, specie su una materia del genere. Le autorizzazioni infatti furono in parte negate, a scrutinio segreto. Il governo Ciampi si salvò, perdendo solo qualche pezzo per una ritorsione voluta da Occhetto, ma il clima già pesante s’invelenì ulteriormente, con gazzarre rivoltanti di piazza ed altro.
L’incontro fra Occhetto e Martinazzoli si svolse nello studio dell’allora capogruppo democristiano della Camera Gerardo Bianco, che ne è ancora buon testimone. Era presente, fra gli altri, con Occhetto il silente ma non dissidente capogruppo del Pds-ex Pci D’Alema. Questo, per dire di che pasta politica, e non solo politica, fosse il Ringo Starr della sinistra di quegli anni. Che si sia nel frattempo addolcito, magari leggendo la nuova Unità, francamente non so.