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Gas, l’Italia tifa Poseidon o Tap nella partita dei tubi?

Avete presente “Pipe game”, uno dei primi giochi per computer in cui si dovevano unire degli spezzoni di tubo dritto o curvo per collegare due punti opposti sullo schermo? I suoi antenati erano cubi di legno sui quali erano disegnati i tratti di tubo, e i suoi nipoti sono le app che trasferiscono lo stesso concetto in vari giochini per i nostri smartphone. Ebbene, quel giochino è diventato realtà, ma è tutt’altro che un gioco.

Abbiamo già evidenziato su Formiche.net che più della metà dell’energia consumata in Europa proviene da Paesi extraeuropei, mentre l’Italia, importando più di tre quarti del proprio fabbisogno energetico, si trova fra i Paesi del continente con la maggiore dipendenza energetica dall’estero.

Per quanto riguarda i combustibili fossili, l’Europa importa l’88,4% del petrolio che consuma, il 65,3% del gas e il 44,2% del carbone. Per giunta, le importazioni provengono in larga misura da un numero ridotto di Paesi. Più di due terzi delle importazioni di gas naturale provengono, infatti, dalla Russia o dalla Norvegia. Analogamente, metà delle importazioni di petrolio greggio vengono da Russia, Norvegia e Arabia Saudita, e quasi tre quarti delle importazioni di carbone vengono ancora dalla Russia, insieme a Colombia e Stati Uniti.

Guardando i singoli Stati, l’Italia è fra quelli che più dipendono dall’estero per il proprio approvvigionamento energetico: è il quarto Paese al mondo fra i più grandi importatori di gas naturale, dopo Giappone, Germania e Stati Uniti. Nel 2014 ha importato 54,5 miliardi di metri cubi. Anche se i consumi sono in discesa a causa della crisi finanziaria (nel 2010 l’Italia ne importava 73,6) ogni anno abbiamo bisogno di 995 metri cubi di gas a testa.

Sappiamo che, con la rivoluzione del Gas Naturale Liquefatto, anche il gas è entrato nel mercato mondiale dell’energia. Ma né l’Europa né l’Italia da sola hanno sviluppato gli impianti di rigassificazione necessari per sfruttare il gas liquefatto in numero e dimensioni sufficienti per a renderle geograficamente indipendenti dai Paesi fornitori.

L’Europa, ed in particolare il nostro Paese, si trovano a importare gas attraverso un numero limitato di condotte: una rete di arterie di importanza strategica.

Intanto, la Russia, attraverso il colosso Gazprom, possiede riserve pari a quasi un quarto delle riserve mondiali: 50 mila miliardi di m3; sufficienti da sole alle importazioni italiane per mille anni ai livelli dell’anno scorso.

Per soddisfare la domanda europea di gas, la Russia mantiene una intera rete di gasdotti. I principali, Brotherhood e Urengoy-Pomary-Uzhgorod, dalla Russia asiatica portano 132 miliardi di metri cubi/anno, mentre il Soyuz alimenta l’Europa dal Kazakhstan con 26 miliardi di metri cubi/anno. Entrambi passano per l’Ucraina e, proprio a causa delle forti tensioni, la Russia prevede di abbandonarli tutti entro il 2019. Per lo stesso motivo, è saltato il progetto del gasdotto South Stream che, secondo i piani guidati da Gazprom ed Eni, avrebbe dovuto trasportare 63 miliardi di metri cubi/anno dalla Russia alla Bulgaria attraverso l’Ucraina. A questi si aggiunge il Nord Stream che porta 55 miliardi di metri cubi/anno dalla Russia alla Germania attraverso il Mar Baltico.

Ed ecco il “Pipe game” su scala continentale: è importante per la Russia portare i suoi gasdotti verso l’Europa, è vitale per i Paesi europei fare arrivare i tubi fino a casa, ma è strategico per tutti scegliere i percorsi giusti per non dipendere dai capricci dei Paesi attraversati dai tubi.

Mentre è certo che la Russia sta lavorando per raddoppiare il Nord Stream portandolo a scaricare in Germania 110 miliardi di metri cubi/anno, è stato firmato pochi giorni fa il memorandum di intesa tra Gazprom, Edison (della francese Edf) e la greca Depa per la realizzazione del nuovo gasdotto Poseidon-Itgi.

Questo tubo ci interessa direttamente perché, partendo dalla Russia, si immergerà nel Mar Nero schivando l’Ucraina, attraverserà la Grecia per arrivare sulla nostra costa adriatica.

Ma questo accordo è anche una minaccia diretta per il progetto Trans Adriatic Pipeline (Tap), il gasdotto alternativo sviluppato dall’italiana Snam, la belga Fluxys, Bp e Enagas. Questo parte dall’Azerbaijan (dove la compagnia di Stato Socar possiede riserve per 1,3 miliardi di metri cubi) e arriva in Puglia passando per Turchia e Grecia. Inutile aggiungere che il Tap e il Poseidon (cioè Gazprom e Socar, ovvero Russia e Azerbaijan) si troveranno in concorrenza fra loro per la fornitura di Gas all’Europa meridionale.

Non è chiara la strategia del governo italiano: prima ha spinto per Tap, poi presenzia alla firma dell’accordo sul Poseidon. Sembrerebbe che l’Italia stia cercando di far rientrare dalla finestra – su presupposti differenti – un nuovo progetto di gasdotto “ex sovietico”, in sostanza simile al South Stream che il premier aveva definito come non più strategico. La mossa è anche un colpo per Snam che, in quanto azionista del Tap, subirebbe la pressione diretta della cordata rivale guidata da Gazprom.

Al di là delle dichiarazioni degli ultimi giorni, questa mossa paleserebbe la sfiducia del governo italiano nella possibilità di ricomporre il disastro in Libia in tempi ragionevoli. Infatti, l’accerchiamento delle infrastrutture petrolifere libiche da parte di Isis rende improbabile un rapido ripristino di quelle fonti di approvvigionamento lungo il gasdotto Green Stream che parte dai campi attorno a Wafa nel deserto Libico, arriva sulla costa a Mellitah e attraversa il mediterraneo fino a Gela.

Ma la domanda di gas italiana è ancora relativamente gestibile con gli attuali volumi di flussi anche grazie al gasdotto Transmed. Frutto di una compartecipazione fra la Sotugat tunisina, la Sonatrach algerina ed Eni, ha una portata teorica di 27 miliardi di metri cubi/anno fra i giacimenti algerini di Hassi R’Mei e Mazara del Vallo ma è al momento sottoutilizzato.

Ci si può chiedere se sia effettivamente utile impegnare risorse italiane su altri gasdotti aggiuntivi come Poseidon e se – in un momento in cui imprese strategiche come l’Eni stanno investendo tempo e miliardi sullo sviluppo di giacimenti come il supergigante egiziano di Zhor, uno dei più grandi al mondo – la creazione di un hub del gas nel Mediterraneo orientale, forzatamente alternativo ai rapporti energetici con la Russia, sia effettivamente ai primi posti nella politica energetica italiana.


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