Skip to main content

Libia, stallo politico e prove tecniche di intervento militare

Mentre in Libia il governo di unità appoggiato dalle Nazioni Unite stenta a partire, si susseguono le notizie sul procedere delle attività militari di americani, inglesi, francesi e italiani, che avranno come obiettivo quello di colpire lo Stato islamico.

IL NUOVO RINVIO

Lunedì, in Libia, la nuova lista contenente i nomi del futuro esecutivo stilata dal premier designato Fayez Serraj sarebbe dovuta approdare al parlamento di Tobruk (l’HoR, l’unico legittimato a votare la fiducia al governo), e invece tutto s’è chiuso con un altro rinvio, a lunedì 7 marzo, nonostante durante la scorsa settimana fosse circolata un documento firmata da 101 parlamentari che si dichiaravano favorevoli al gabinetto proposto da Serraj.

LO STALLO POLITICO

Serraj e il presidente dell’HoR Agila Saleh, secondo alcune indiscrezioni diffuse dai media arabi, avrebbero deciso, durante una riunione al Cairo a cui avrebbe partecipato anche l’inviato Onu Martin Kobler, una nuova road map da far attraversare al governo di concordia, che prevede il restringimento del numero dei membri del Consiglio presidenziale da nove a tre persone (Serraj più due vice). Nella confusione che accompagna tutta la crisi libica, il membro del parlamento di Tobruk Saleh Himma ha dichiarato al sito Al Wasat che in realtà quella riunione a tre non è mai avvenuta, perché Serraj non si è recato in Egitto, dove invece avrebbe avuto un vertice Saleh (l’Egitto è uno sponsor di Tobruk). Smentite su possibili modifiche dei termini dell’accordo di Skhirat del dicembre scorso, su cui si basa il processo politico attuale, sono arrivate anche da uno dei vice premier, Musa Kuni, rappresentante Tuareg del Fezzan (il sud del paese).

I MILITARI AVANZANO

Se la risoluzione politica della crisi stenta ad arrivare, l’azione militare sembra avere nuova spinta nelle ultime due settimane. Lunedì una “fonte francese ben informata” ha raccontato sempre ad Al Wasat del transito della portaerei “Charles de Gaulle” verso il Mediterraneo (arrivo al largo della Libia previsto per fine settimana): ha attraversato lo stretto di Suez salendo dal Golfo, dove era stata precedentemente impegnata nell’Operazioni Chammal, che è il nome dato Parigi alla campagna contro lo Stato islamico in Siria e Iraq. È probabile che la “de Gaulle” sia in missione per supportare le attività francesi anche in Libia: nei giorni scorsi sono uscite notizie in merito ad un ampio coinvolgimento di reparti d’élite inviati dall’Eliseo al fianco dei soldati del governo di Tobruk, addirittura impegnati in missioni operative a Bengasi.

In un reportage di Lorenzo Cremonesi da Tripoli uscito oggi sul Corriere della Sera, Walid al Sheikh, “uomo dell’unità dell’intelligence impegnata nel dar la caccia all’Isis per Alba Libica (l’ala militare principale del governo tripolitano. ndr)” conferma che unità speciali americane, inglesi e francesi, si trovano già in Libia: Cremonesi sottolinea che già all’aeroporto di Mitiga (Tripoli) ci sarebbero questi agenti in borghese, riconoscibili in mezzo agli altri, schierati per monitorare chi scende dagli aerei. Evidentemente il pensiero è che possano arrivare via aereo rinforzi per lo Stato islamico.

LA POPOLAZIONE ARRETRA

Quello che riporta Cremonesi è interessante perché conferma di nuovo la presenza di questi reparti schierati in entrambi i lati del conflitto i francesi a Bengasi (lato Tobruk) e forse anche a Tripoli, gli inglesi secondo le informazioni avute dal Telegraph si troverebbero a Misurata (ma il consiglio municipale smentisce), e gli americani in una base vicino al confine tunisino (presumibilmente controllata dai soldati cirenaici). Sebbene questo possa sembrare un qualche segnale di unità, sono le testimonianze raccolte dall’invito del CorSera a far capire la sensazione provata dai locali è diversa. Scrive Cremonesi che “la ventina di persone con cui abbiamo parlato ieri si è dimostrata largamente scettica, se non addirittura ostile al gabinetto unitario così come mediato anche con l’aiuto delle Nazioni Unite negli ultimi mesi”. Gli abitanti di tripoli intervistati dal giornalista italiano definiscono l’esecutivo Serraj “finto”, “artificiale”, e “con breve durata”.

GLI USA SI SMARCANO SU ALTRI RAID

Gli Stati Uniti hanno smentito di aver compiuto attacchi aerei lunedì a Sirte e Bani Walid contro postazioni e convogli dello Stato islamico. Si era parlato di un ulteriore coinvolgimento americano sulla scia del bombardamento di una decina di giorni fa a Sabratha, più a ovest, e in base al fatto che né forze di Tobruk né di Tripoli avevano rivendicato l’attacco che invece ha centrato bersagli anche importanti dei baghdadisti (sembra un convoglio di quindici veicoli a Bani Walid, dove l’IS sta ricevendo appoggio da tribù ex-ghaddafiane, e un’imbarcazione che portava armi a Sirte). I sospetti, secondo molti osservatori, ricadono nuovamente sull’asse Francia-Egitto, secondo uno schema di partnership ormai noto, e forse  l’arrivo della de Gaulle ha anche come obiettivo dare ulteriore supporto logistico a queste attività.

IL PENTAGONO CHIAMA L’ITALIA

Lunedì il segretario alla Difesa americano ha anche sottolineato in una conferenza stampa il ruolo dell’Italia nel futuro intervento militare in Libia: “L’Italia, essendo così vicina, ha offerto di prendere la guida in Libia. E noi abbiamo già promesso che li appoggeremo con forza”. Carter, sposando la linea sostenuta da Roma, si augura che il governo unitario possa formarsi al più presto per poter così dare via libera per l’azione di una coalizione che combatterà lo Stato islamico anche in Libia.

IL COMANDO ITALIANO

Palazzo Chigi, scrive Fiorenza Sarzanini sempre sul Corriere delle Sera, ha garantito agli alleati la capacità di entrare in azione “in una settimana, affiancandosi a chi è già in teatro”. La scorsa settimana la stessa giornalista aveva ottenuto informazioni su modalità e attività delle forze italiane pronte a partire per la Libia impegnate “non soltanto con attività di addestramento del personale libico e di sorveglianza dei siti sensibili e strategici, ma utilizzando i corpi speciali per quelle missioni di intervento segrete che gli alleati stanno già effettuando”.

È già stata votata a dicembre la copertura di diritto da parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, richiesta dall’Italia per poter intervenire: a questo punto, come aveva ribadito tre giorni fa il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, serve soltanto un invito, un qualche semaforo verde, del governo libico.

Indiscrezioni anche sul nome di colui che potrebbe dirigere le intere operazioni: il generale dell’Esercito Paolo Serra, consigliere militare di Kobler, nel 2012 nominato dal segretario generale dell’Onu Ban Ki Moon a capo della missione internazionale in Libano UNIFIL. Il nome del generale torna a circolare adesso, confermando altre indiscrezioni uscite mesi fa.

 


×

Iscriviti alla newsletter