Il pensiero e le opere di Marco Biagi sono sempre attuali e immortali. Erano d’accordo i relatori riuniti ieri pomeriggio al Senato, in una sala Capitolare strapiena, in occasione del quattordicesimo anniversario della morte di Marco Biagi, il giuslavorista ucciso per mano delle Nuove Br il 19 marzo 2002 a Bologna. L’associazione riformista Amici di Marco Biagi e Adapt, il centro studi intitolato allo stesso giuslavorista, hanno organizzato e promosso un convegno intitolato “Marco Biagi: la persistente attualità di una visione e di un metodo” che ha visto la partecipazione di politici, esperti ed ex ministri. Tutti a porsi una domanda semplice ma non scontata. Può a distanza di anni la lezione di Biagi essere ancora considerata al passo coi tempi?
GRASSO, C’E’ (TANTO) BIAGI NEL JOBS ACT
La domanda ha incontrato la pronta risposta del presidente del Senato Piero Grasso che ha colto l’occasione per accostare il nome di Biagi a quello della riforma renziana del lavoro, il jobs act. Che, secondo Grasso, porta in dote una buona fetta del pensiero di Biagi, condensato nella legge 30 del 2003, detta per l’appunto legge Biagi. La recente revisione della disciplina dei contratti di lavoro, operata con il decreto legislativo n. 81 del 2015, si muove nell’ambito del solco tracciato dalla riforma Biagi”, ha spiegato Grasso. Per l’ex procuratore antimafia, il jobs act è una specie di aggiornamento della legge Biagi, in quanto “conferma le tipologie di contratti istituite pur prevedendo varie modifiche alle relative discipline”. Ma, cosa più importante, “amplia la sfera dei rapporti di lavoro dipendente, sviluppando in tal senso, a distanza di quasi 15 anni, il criterio di conciliazione tra flessibilità e tutela del lavoro a cui si ispirava la riforma Biagi”.
QUANDO BIAGI SI FACEVA DOMANDE (SCOMODE)
Di Marco Biagi e della sua opera ha parlato anche il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, che ha evidenziato il contesto storico in cui si muoveva Biagi. “Ci ha insegnato che a volte bisogna farsi delle domande scomode per anticipare i cambiamenti globali, senza venirne travolti. Lui lo fece e questa è la sua eredità”, ha spiegato Poletti. Per il ministro oggi c’è un imperativo chiaro: “Governare i cambiamenti della società. Ma per farlo bisogna avere il coraggio di mettere in discussione le cose che ci sono. Come fece Biagi, che mise in discussione le cose che c’erano, senza avere paura delle risposte”.
QUELLE RIFLESISONI ANCORA ATTUALI
Ma se oggi il concetto di flessibilità è al centro del tema lavoro (ma anche pensioni), forse lo si deve a certe tesi che il giuslavorista aveva portato avanti nel tempo, facendole confluire nella legge che porta il suo nome. Di questo è convinto Maurizio Sacconi, ex ministro del Welfare e oggi presidente della commissione Lavoro del Senato. “Biagi ha introdotto per la prima volta il concetto di politica per la crescita, l’unica che può innescare quel circolo virtuoso in grado di creare nuovi posti di lavoro”. Per Sacconi “ancora una volta confrontiamo i suoi principi, la sua visione, il suo metodo con i bisogni del mercato del lavoro nel presente e nel futuro, oggi rappresentati dai cambiamenti indotti dalle nuove tecnologie digitali”.
LA PROSSIMA SFIDA? LA RAPPRESENTANZA (COME DICEVA BIAGI)
E se Biagi avesse previsto anche un’altra sfida di questi tempi, flessibilità a parte? Tipo la rappresentanza. In effetti, ha fatto notare il sottosegretario alla presidenza del consiglio nonché ascoltato consigliere economico a Palazzo Chigi Tommaso Nannicni, è così. D’altronde Biagi già parlava di rappresentanza nel mondo del lavoro nei primi anni 90. Oggi, secondo Nannicini, il tema sta per tornare all’ordine del giorno, con i sindacati che appaiono sempre più deboli al cospetto di Renzi. “Veniamo da grandi fratture ideologiche, come quella sull’articolo 18. Credo che il tema della rappresentanza sindacale possa essere un tema del futuro, come lo è già stato ai tempi di Biagi”. Non a caso una legge sulla rappresentanza è nell’agenda del premier.
PERCHE’ STUDIARE (ANCORA) IL BIAGI-PENSIERO
Un po’ come un cerchio, si ritorna al punto di partenza del convegno, nel corso del quale sono stati anche premiati due studenti. Studiare oggi Biagi ha senso? Anche per i più giovani, che non lo hanno conosciuto? Emmanuele Massagli, presidente di Adabt, fa una riflessione: “Io Marco Biagi non l’ho conosciuto personalemente, però l’ho studiato sui suoi testi. Soprattutto le tesi sulla formazione e sull’alternanza dello studio al lavoro, perché la formazione è fondamentale per lavorare. Tutte cose che non sapevo ma che ho imparato sui testi del professore”. Domanda, ma quando tutte queste frontiere saranno conquistate, che ne sarà di Biagi e del suo pensiero? “Rimarrà attualissimo, così come il metodo, che si basa proprio sulla scommessa sui giovani. La modernità del lavoro non è un articolo scientifico. Spero che le generazioni che non lo hanno mai conosciuto possano incontrarlo sui libri”. In fin dei conti, come chiosato da Michele Tiraboschi, coordinatore scientifico di Adapt, “il messaggio, quello di Marco Biagi, ancora forte e vivo”.