Viaggia lungo la via Emilia l’asse su cui poggiano i vertici nazionali di Governo e Pd per opporsi al referendum del 17 aprile. Di questa consultazione popolare il premier Matteo Renzi ne avrebbe fatto volentieri a meno, ma sono stati proprio sette consigli regionali a maggioranza Pd (insieme a quelli di Liguria e Veneto, a trazione centrodestra) ad aver chiamato i cittadini alle urne per abrogare una norma della Legge di Stabilità 2016 (peraltro votata dallo stesso Pd) che consente la proroga delle concessioni estrattive di gas e petrolio entro le 12 miglia dal mare “per la durata di vita utile del giacimento” (qui il corsivo del direttore di Formiche.net Michele Arnese).
IL RUOLO DI BONACCINI E DELLA GIUNTA EMILIANA
La “rossa” Emilia-Romagna si era già distinta nel settembre scorso per non aver aderito alla richiesta di referendum avanzata dalle altre Regioni a guida Pd, come spiegato in questo articolo che cita anche la risoluzione approvata in assemblea legislativa. E non era stata una scelta passata inosservata, dato che a Bologna il governatore è Stefano Bonaccini, tra i primi dell’area bersaniana a passare con Renzi in vista del congresso contro Gianni Cuperlo. Bonaccini è stato responsabile Enti locali nazionale nella prima segreteria renziana del partito, dopodiché, una volta eletto alla guida dell’Emilia-Romagna, è diventato anche presidente della Conferenza Stato-Regioni, andando così a ricoprire un ruolo chiave negli equilibri politici nazionali. “Io sono tra quelli che insieme ai referendari ha incontrato il Governo per ottenere modifiche alla legge – ha detto nei giorni scorsi il governatore come riportato dal Corriere di Bologna -. Non ero ad esempio d’accordo con la possibilità di concedere nuove autorizzazioni entro le 12 miglia ma tutto questo non c’è più nel referendum. Stiamo parlando solo delle attività che sono in essere e in questo senso una vittoria del sì alla consultazione qualche problema lo creerebbe, mettendo a rischio migliaia di posti di lavoro”. Sulla stessa linea d’onda di Bonaccini c’è la sua assessora alla Difesa del suolo, Paola Gazzolo, originaria di Piacenza e quindi espressione di un territorio dove sono presenti molte aziende legate all’indotto del settore oil&gas.
L’ATTIVISMO DI BESSI, PRODIANO RAVENNATE
Sulle questioni energetiche, il vero punto di riferimento all’interno del Pd emiliano-romagnolo (e ormai sempre più anche di quello nazionale) è Gianni Bessi. Quarantanove anni da compiere, ravennate, consigliere regionale, Bessi è un prodiano doc vicino agli ambienti di Nomisma e tra il 1999 e il 2000 ha fatto parte dell’ufficio di gabinetto dell’allora ministro all’Agricoltura Paolo De Castro e di quello del ministro del’Industria Enrico Letta. Da tempo Bessi porta avanti le battaglie in difesa del settore offshore, in particolare del distretto di Ravenna dove sono in ballo centinaia di posti di lavoro (qui la sua ultima intervista a Formiche.net).
Nel settembre scorso, in occasione del via libera in Regione alla risoluzione che sbarrava le porte al referendum, il consigliere dem spiegava come tale provvedimento impegnasse la giunta regionale a “proporre al Governo l’avvio di un percorso di revisione complessiva della normativa nazionale in materia di estrazione di idrocarburi che trovi la condivisione dei governi regionali e delle comunità territoriali e che sappia armonizzare il sistema nazionale in linea con le direttive dell’economia blu e dello sviluppo sostenibile”.
IN BASILICATA C’E’ UNA MOSCA BIANCA DEL PD
Anche in Basilicata, una delle regioni che hanno proposto il referendum, c’è qualcuno nel Pd schierato sulla linea di opposizione a questa consultazione popolare ritenuta strumentale, e quindi convinto che l’astensione sia la miglior cosa da fare. Si tratta del consigliere regionale dem Vito Giuzio, che qualche giorno fa a l’Unità ha spiegato come “a dimostrazione della strumentalizzazione di questo quesito referendario da parte di chi lo ha proposto e che lo sostiene, basta sapere che in Basilicata, entro le 12 miglia, non esiste nessun impianto e nessuna piattaforma”. Dunque, “l’integrità delle coste lucane, evidentemente, non è in pericolo né tantomeno al centro delle tematiche inerenti questo referendum”. Giuzio è stato l’unico ad astenersi in consiglio regionale sulla questione referendaria “proprio perché – ha aggiunto – credo che si tratti di tematiche strategiche che, in quanto tali, devono essere di competenza del governo. Penso di interpretare – ha continuato – le preoccupazione che oggi vivono le imprese dell’indotto in Basilicata che, anche se non direttamente interessate all’esito del referendum, temono l’inizio di una stagione difficile per un settore industriale che ad oggi ha portato ricchezza, lavoro e sviluppo di grandi professionalità”. Infine l’invito all’astensione, “perché il quesito non è nato dalla volontà dei cittadini e quindi, proprio per questo, l’onere di raggiungere la maggioranza è dei veri proponenti, quindi le regioni”.