Ottavo articolo di una serie di approfondimenti. Il primo articolo si può leggere qui, il secondo qui, il quarto qui, il quinto qui, il sesto qui, il settimo qui, ottavo qui.
Grande spolvero alla Pisana. Per chi non lo sapesse: la sede della Regione Lazio. Con il suo presidente, Nicola Zingaretti, che annuncia sorridente un nuovo piano d’investimenti, destinato in parte a Roma Capitale. Mentre Francesco Paolo Tronca, il prefetto venuto da Milano, ed ora a capo dell’Amministrazione come commissario straordinario, partecipa al tripudio generale. La cifra è cospicua. Circa 151 milioni di euro stanziati a valere sul bilancio regionale nell’ambito del “Programma operativo regionale – Fondo europeo 2014 – 2020”. Titolo involontariamente inquietante. Quando saranno effettivamente spesi i soldi promessi? Se la loro “competenza” partiva dal 2014, ci sono voluti due anni solo per capire come ripartirli tra i diversi possibili impegni. Quanto a realizzare le necessarie opere, staremo a vedere.
La metà delle somme stanziate dovrebbe servire per aggredire alcuni nodi storici della Capitale. Rinnovo del parco automobilistico del trasporto pubblico locale. Messa in opera di “semafori intelligenti” – se ne parla da qualche decennio – potenziamento dei varchi elettronici per regolare il traffico. Il resto dovrebbe andare ad alleviare il dramma quotidiano dei pendolari, il più delle volte ammassati in vetture che hanno ben poco da invidiare al trasporto del bestiame. Comunque, come si dice, al caval donato non si guarda in bocca. Uniamoci quindi al gaudio collettivo. Se non fosse per una macroscopica considerazione.
Il finanziamento, seppure parziale della Capitale d’Italia, dipende quindi dalla benevolenza della Regione Lazio. Critica ingenerosa: si potrebbe affermare, se non fossimo a conoscenza di precedenti poco edificanti. La spartizione dei fondi pubblici è stato sempre un cruccio nei rapporti tra le due Istituzioni. Al punto da determinare più volte il ricorso alla magistratura. Sono, infatti, decine le cause che contrappongono le due Amministrazioni, le quali rivendicano, reciprocamente, crediti non pagati. Nemmeno si trattasse di un litigioso condominio, in cui il moroso cerca ogni scusa per dar fastidio al proprio vicino. In un misto di ragioni e di rancori.
Già rancori: c’è anche questo. Si sussurra che alcune di queste cause furono la conseguenza dell’antipatia personale tra il Sindaco di Roma ed il Presidente della Regione. I quali, pur appartenendo allo stesso schieramento politico avevano di che questionare. Su cose, naturalmente, che con l’amministrazione delle rispettive Istituzioni c’entravano ben poco. Non faremo i nomi, trattandosi di voci seppure molto diffuse tra i mandarini della politica. Ma soprattutto per una ragione di maggior sostanza. Può, infatti, la Capitale di uno Stato dipendere per la propria organizzazione interna da un rapporto ancillare con la regione che la circonda? O invece quel rapporto deve essere direttamente impostato con il Governo centrale? Questo è il tema di fondo che va indagato.
Lo schema italiano è quello di una capitale che si confonde con un semplice capoluogo di Regione. Da questo punto di vista non esiste alcuna differenza sostanziale tra Roma e Reggio Calabria. Oppure tra Roma e Milano. Le dieci città metropolitane hanno tutte la stessa configurazione istituzionale. Roma ha qualcosa di più. Ma il rapporto prevalente è segnato dall’uniformità del modello. Per la verità non è stato sempre così. Durante il fascismo, Roma era amministrata da un Governatore. Aveva il rango di ministro. Nelle cerimonie ufficiali era secondo solo al Duce. Altri tempi: si dirà. Roma era la capitale dell’impero. Un impero “straccione”, come ebbe modo di dire lo stesso Lenin. Ma comunque, nel bene e nel male, c’era un’idea forte dello Stato e quindi della sua capitale.
Un’anomalia? Oppure la variante italiana di uno schema più generale? Per rispondere basta guardare a quel che succede negli altri Paesi occidentali. Non solo europei. Anche in Francia vi sono le città metropolitane. Parigi, Lione e Marsiglia. Ma il sindaco di Parigi è più sindaco degli altri. E’ titolare, in altre parole, di poteri che gli altri nemmeno si sognato. Al tempo stesso Parigi è soprattutto la capitale della Francia. E’ il Governo centrale, in stretto raccordo con la municipalità, che ne cura e ne finanzia direttamente le grandi opere infrastrutturali. Che ne programma lo sviluppo, dal punto di vista economico e produttivo.
Anche Parigi è inserita in un contesto regionale. L’Ile de France: nome pressoché sconosciuto agli occhi del mondo. Quel territorio è suddiviso in 8 dipartimenti. Parigi è l’unica città francese che è al tempo stesso comune e dipartimento. Questo almeno dal 1977, perché dal 2016 Parigi è divenuta la Grand Paris, includendo nei suoi confini tre altri dipartimenti: Hauts-de-Seine, Seine-Saint-Denis and Val-de-Marne. Operazione che ha fatto crescere la sua popolazione da poco più di 2,5 milioni di abitanti a quasi 7.
Oggi Parigi è una “ville monde”. Vale a dire una Capitale, che reagisce alla dura competizione della globalizzazione, per misurarsi direttamente con le altre “global cities”: New York, Londra e Tokyo. Tutto ciò ha comportato finanziamenti aggiuntivi da parte del Governo centrale, per decine di miliardi di euro. Serviranno al potenziamento dei trasporti urbani, grazie all’uso di una nuova rete di metropolitane senza conducente. La realizzazione di 70.000 nuovi alloggi all’anno. La creazione di un grande parco tecnologico alle porte della “vecchia” Parigi. Quindi la costituzione di due società, interamente pubbliche, preposte alle bisogna. Visti da Roma, i parigini sono i veri “marziani”. Altro che il sindaco Ignazio marino.
Siamo forse di fronte ad una delle tante manifestazioni della tradizionale “grandeur” francese? Prendiamo Berlino: troppo semplice sarebbe il confronto con Londra, il cui Mayor – Boris Johnson – sta dando filo da torcere al premier David Cameron. Ebbene Berlino è una “città – Stato”. Per la sua organizzazione non dipende da altri che dal Governo federale. E che dire di Washington? La città ha anche nel nome – Washington D.C. – le stimmate del suo potere: è distretto di Columbia. Non ha sulla testa altri che il Governo federale.