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Chi (non) voterò a Roma. Parla Rutelli

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Tutto era iniziato a Roma con le elezioni del 1993, quando ci affrontammo Gianfranco Fini ed io sostenuti da coalizioni strutturate e composite. Nasceva il maggioritario centrodestra-centrosinistra, che adesso con le prossime amministrative è destinato a tramontare”. Non ha dubbi Francesco Rutelli: quelle in programma a Roma a giugno, saranno elezioni spartiacque, che ridisegneranno completamente la geografia politica nella Capitale e non solo.

I motivi sono diversi: l’ultra frammentazione del quadro politico, la presenza in corsa di una pluralità di candidati (tutti con una loro storia e un loro appeal elettorale), le incertezze e l’insoddisfazione dei cittadini, che potrebbero consegnare, dopo il primo turno, una situazione ad oggi inimmaginabile. Argomenti che l’ex sindaco ha affrontato in questa intervista rilasciata a Formiche.net.

Rutelli, iniziamo con una domanda molto diretta: lei ha a lungo lavorato gomito a gomito con Roberto Giachetti in Campidoglio. Significa che darà la sua preferenza al candidato renziano del Partito Democratico?

Come tutti sanno, a Roberto Giachetti mi lega un’amicizia di lunga data ma ciò non implica automaticamente un supporto elettorale: significherebbe contraddire l’impegno preso di pronunciarmi dopo che saranno resi pubblici i programmi, con gli strumenti per metterli in pratica e, soprattutto, con i nomi di chi affiancherà i diversi candidati in campo. Il nuovo sindaco di Roma ha bisogno di una super squadra per voltare pagina.

Possiamo allora dire che il derby delle preferenze di Francesco Rutelli è tra Giachetti e Alfio Marchini?

No, è prematuro. Per il momento voglio tenermi fuori da questa dinamica. Lo ripeto, contano solo le proposte che saranno avanzate e le persone che saranno scelte per realizzarle concretamente. Con l’associazione La Prossima Roma abbiamo provato a fare questo: fornire idee e spunti di riflessione per metterci definitivamente alle spalle gli ultimi fallimentari otto anni di amministrazione capitolina. Le nostre proposte sono frutto della partecipazione e del contributo di oltre 4.000 persone. Vediamo chi le valorizzerà.

Le primarie sono ancora lo strumento giusto per selezionare i candidati? Quello che è successo a Napoli è sotto gli occhi di tutti.

Non ho mai condiviso l’idea che le primarie siano uno strumento salvifico. Possono funzionare, certo, sia come mobilitazione “confermativa” (tipo Prodi nel 2005), sia quando c’è una vera competizione tra candidati con linee diverse. Ma non è vero che ogni scelta politico-elettorale debba passare per i gazebo, anche perché le primarie continuano a non essere disciplinate dalla legge. La sfiducia nei confronti della politica sta poi facendo diminuire drasticamente il numero dei votanti. Ormai partecipano quasi soltanto i militanti: a Roma alle primarie del centrosinistra ha votato meno del 2% degli elettori. Pochi davvero. Nel caso della Capitale, hanno comunque fatto bene a organizzarle. Dopo le inchieste e la caduta di Marino, il clima in casa Pd era così negativo che non si sarebbe potuto fare altrimenti.

Quelle di Roma sono state primarie dall’esito scontato a suo modo di vedere? Con Giachetti si è schierato quasi tutto l’establishment del partito, da Matteo Renzi a Matteo Orfini.

No, credo che sia stata una competizione autentica. C’erano due candidati principali, entrambi perbene, con una loro credibilità e una loro storia. Giachetti e Roberto Morassut sono amici ma hanno anche profili politici diversi. Il secondo più identificabile con la sinistra del Pd.

A proposito di questo, pensa che il Pd possa vincere a Roma senza l’appoggio di Sinistra Italiana? Gli esempi del passato sembrerebbero dire di no.

In passato certamente è stato così ma oggi la situazione è molto cambiata. Innanzitutto si consideri l’astensione: il 50% e più dei romani non ha ancora deciso cosa votare a giugno. Aggiungiamo che quest’anno per la prima volta non ci sarà alcun candidato che al primo turno supererà il 30% dei voti. Qualcosa d’impensabile anche alle ultime elezioni del 2013. È possibile che qualcuno vada al ballottaggio con circa il 20% dei consensi.

Questa frammentazione come impatterà sul secondo turno?

Più di ogni altra volta, quest’anno il ballottaggio sarà una partita radicalmente diversa. È difficile che i candidati eliminati siano in grado, al secondo turno, di orientare il voto dei loro elettori come avveniva in passato. Dunque, tutto si giocherà sulla personalità dei due finalisti, sulla capacità di prendere voti al di fuori della loro cerchia.

Qual è il suo pronostico? Ballottaggio tra Giachetti e Virginia Raggi?

Ad oggi sembrerebbe così, ma mancano più di due mesi. Di questi tempi un’era geologica. Aspettiamo a fare previsioni.

I sondaggi però danno favorita la candidata del M5S. È effettivamente così?

I cinquestelle hanno i favori del pronostico come strettissima conseguenza del malcontento che regna in città. E – questa è la novità di sistema più rilevante – le parole sfuggite a Matteo Salvini e a Giorgia Meloni per uno schieramento al secondo turno pro-grillini indicano l’inedita, possibile convergenza delle forze populiste. Anche in questo caso, Roma farebbe da battistrada per un’esperienza di notevole, potenziale rilievo nazionale. Sull’altro piatto della bilancia c’è però un aspetto diverso: i romani, che vengono da due esperienze altamente deficitarie, potrebbero non scegliere un candidato di cui non siano certe la competenza e la capacità di affrontare i problemi di Roma. Bisogna vedere cosa prevarrà, se la spinta a un “tana libera tutti”, o gli interrogativi sulla preparazione dei grillini a guidare il Campidoglio. Un’inesperienza confermata dalla gaffe della Raggi sulla governance di ACEA, quotata in Borsa, che in poche ore ha fatto evaporare decine di milioni di euro.

C’è però chi sostiene che dopo le stagioni negative di destra e sinistra – con Gianni Alemanno e Ignazio Marino – i cinquestelle si siano guadagnati il diritto a governare la città. È una battuta o un’argomentazione seria?

È certamente vero, però tenga conto che le cose possono sempre peggiorare… I romani, per l’appunto, hanno già votato due sindaci molto diversi tra loro, Alemanno e Marino, che promettevano entrambi di cambiare tutto. Guardi com’è finita la città. Insomma, per poter imprimere un cambiamento radicale sono necessari due elementi: l’effettiva capacità di realizzare e non solo di protestare, e un rapporto costruttivo con il Governo. Come si potrebbe guidare Roma in totale contrasto con Palazzo Chigi che, dal punto di vista istituzionale ed economico, è un interlocutore indispensabile?

Nel centrodestra che succede? Sondaggi alla mano potrebbe anche avere la maggioranza delle preferenze ma i candidati in corsa sono tantissimi con l’evidente rischio di sottrarsi voti a vicenda.

Non credo che il quadro rimarrà questo. Penso che alla fine ci potrebbe essere una razionalizzazione, che qualcuno dei candidati si ritiri, o si aggreghi, facilitando un processo di semplificazione e riaggregazione delle forze in campo.

Uno dei rumors dice che Guido Bertolaso potrebbe fare un passo indietro e che Silvio Berlusconi potrebbe finire con l’appoggiare Marchini. Fantapolitica?

Non so, ma forse da parte di Silvio Berlusconi e del centrodestra arriverà l’ora di mettere fine a questo gioco dell’oca autodistruttivo.

Raffaele Cantone nei giorni scorsi ha messo sotto accusa gli appalti del Campidoglio per il triennio 2012 – 2014. Ritiene che in passato ci siano state situazioni analoghe a quelle sollevate dal presidente dell’Autorità Anticorruzione?

Guardi, negli ultimi anni la situazione è infinitamente peggiorata. Per quanto concerne i miei anni da sindaco, le dico solo che in occasione del grande Giubileo del 2000 organizzammo 780 gare d’appalto, tutte trasparenti, senza affidamenti diretti e concluse senza un solo avviso di garanzia. La trasparenza era massima. Pensi che Giachetti – da capo della segreteria e poi da capo di gabinetto – tutte le settimane scendeva le scale del Campidoglio per consegnare alla stazione dei Carabinieri di Piazza Venezia una pila di esposti, segnalazioni, denunce anonime che mettevamo a disposizione della Procura della Repubblica per le verifiche e gli interventi del caso.

C’è chi sostiene che anche la sua amministrazione abbia contribuito a far esplodere il maxi debito di Roma. Che cosa risponde?

Si tratta di polemiche senza fondamento, basate su conteggi contraddittori dei debiti e dei crediti degli ultimi 60 anni. La nostra amministrazione ha compiuto riforme profonde riconosciute da tutti, ed ha avuto un rating da tripla A. Inoltre, è concretamente impossibile far risalire un debito stimato sui 15 miliardi ad una giunta al termine del cui lavoro il debito storico – risalente addirittura alle Olimpiadi del 1960 – fu certificato in 5,9 miliardi.

Un’ultima domanda: come si spiega che oggi Roma – quasi da nessun punto di vista – riesca a funzionare come una città normale? Che nella Capitale tutto sia più inefficiente, difficile e problematico?

Il problema drammatico di questi ultimi anni è l’assoluta decomposizione della struttura burocratica della città. C’è stato un vero collasso tecnico-amministrativo, con poca concorrenza, poca trasparenza e poco controllo. Un mix letale che il prossimo sindaco – chiunque esso sia – ha il dovere di estirpare alla radice. Per chiudere una fallimentare stagione e iniziare a costruire finalmente la prossima Roma.



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