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Come si può uscire davvero alla crisi

giovanni, ROBERTO SOMMELLA, costituzione

Capita non di rado che i tedeschi abbiano ragione. Il ruvido Wolfgang Schauble forse sulla Grexit temporanea ci aveva visto giusto. Immanuel Kant, nel cercare la ricetta della pace perpetua, la individuò nella federazione tra stati, quello che manca all’Europa oggi. Molto prima di Varoufakis, lo studioso Jorg Huffschmid ammonì come il problema delle società avanzate fosse il ‘finanzcapitalismo’ e non la crisi. La finanza al cubo ha infatti completamente rovesciato il concetto di capitale. Quello classico, che produce valore, quando si costruisce una scuola, un ponte, si elabora una nuova medicina, si creano posti di lavoro, sembra relegato ai tempi del Piano Marshall, lo si vorrebbe rievocare con la politica dei ‘soldi dagli elicotteri’ da imporre alla Bce, insomma è quasi un’utopia; quello contemporaneo il valore invece lo estrae, imponendo prezzi artificiosi, manipolando tassi sui mutui, erogando prestiti a chi non può chiederli, rovesciando sulla collettività i debiti degli altri attraverso prodotti tossici.

La tirannia della finanza, che è alla base della crisi dal 2008, è tutta qui. Ci sono voluti 15 trilioni di dollari per salvare banche, assicurazioni e fondi, una cifra pari più o meno al debito di tutta l’Unione Europea o degli Stati Uniti. Si calcola che, complice proprio la dematerializzazione di molti processi e transazioni finanziarie, quasi l’80% dei 120 trilioni di dollari di azioni scambiati annualmente sulle borse mondiali perseguano finalità speculative, senza contare la mole di derivati che non passano su mercati regolamentati e che magari valgono sette volte tanto. Questa enorme e sterile massa di denaro si muove a seconda delle decisioni delle autorità monetarie e delle istituzioni che le sovrintendono. Anche così si spiega la forte riduzione della capitalizzazione di moltissime banche nell’ultimo anno. In dodici mesi, grandi istituti di credito tedeschi, francesi, italiani, svizzeri, hanno visto ridurre il valore delle loro azioni in borsa anche della metà. Ma gli Stati non avevano messo in sicurezza il cuore bancocentrico delle loro economie? Sì. Peccato che alcuni regolamenti sui salvataggi e le stringenti operazioni sui coefficienti patrimoniali imposte dalle istituzioni di Bruxelles, accoppiate alla politica tassi zero della Banca Centrale Europea e della Federal Reserve, facciano ora dubitare agli analisti del finanzcapitalismo che il prezzo fosse davvero giusto.

Vista la necessità di ‘nutrire la bestia’, muovono più soldi i tassi d’interesse, le soluzioni di sistema che si individuano (bad bank, good bank, fondi come l’italiano Atlante) che le crepe devastanti nella nostra vita reale, quella della produzione di valore, come direbbe Luciano Gallino. Rivedere l’andamento dei listini nelle quattro capitali europee colpite dal terrorismo islamico è in questo senso istruttivo. La borsa di Bruxelles, nel giorno dell’attacco all’aeroporto e alla metropolitana ha chiuso addirittura in rialzo dello 0,5%. E gli andamenti borsistici Eurostoxx sono rimasti placidi nei cinque giorni successivi, anche a Madrid nel 2004, a Londra nel 2005 e a Parigi (sia a gennaio che a novembre 2015).

Sembrerebbe che la lotta al terrorismo, l’organizzazione lacunosa della gestione dei migranti e gli andamenti azionari vivano realtà parallele. E’ il confronto tra produzione ed estrazione di valore, tra chi vive di reddito e chi vive di rendita. Janet Yellen, presidente della Fed e Mario Draghi, numero uno della Bce, sono gli oracoli di questa religione, sortiscono quasi sempre molti più effetti della cattura di un kamikaze o di una nuova strage. E non potrebbe essere diversamente. Sui mercati regnano da almeno cinque lustri tre grandi categorie immanenti. Si tratta dell’insieme delle banche classiche; della sempre più predominante categoria della finanza ‘ombra’, composta da tutti quegli intermediari che vivono e proliferano, estraendone valore, con il debito pubblico e privato, pur non essendo ‘banche’ a tutti gli effetti; dei fondi pensione e degli hedge funds, che di fatto possono decidere le sorti delle aziende e in alcuni casi anche degli Stati.

Sono questi i tre pilastri del finanzcapitalismo, che la fa da padrone in barba a tutte le jihad del mondo e vive di regole che nessun governo è in grado di cambiare, per il semplice motivo che sono stati gli stessi esecutivi (americani, francesi ed europei) a decretarne la libertà di azione. Ci vorrebbe un disarmo, unilaterale. Sarebbe bello che lo proponesse un tedesco.

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