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Critiche e proposte di Iacovone (EY) per il no profit

banda larga, Donato Iacovone

Dimentichiamo i vecchi modelli di welfare, non torneranno più. D’ora in poi l’Italia  avrà un sistema di welfare diverso fatto di co-responsabilità. E le organizzazioni no profit non ne sono escluse, anzi è a loro che si chiede di fare uno sforzo per crescere, modernizzarsi, stringendo patti con le imprese e collaborando con loro. Ma trovare investimenti non è poi così semplice. È stato questo il tema al centro del Forum “Generare impatto sociale. Misura, progetti, alleanze per una nuova economia” organizzato dalla Fondazione EY Italia Onlus questa mattina, 21 aprile, nella Sala Regina della Camera dei deputati.

IL FORUM

Alla tavola rotonda dal titolo “Guardare oltre per creare partnership di successo. Modelli innovativi di governance e collaborazione tra pubblico, privato e terzo settore”, moderata da Stefano Bellini (TG2), e introdotta dall’amministratore delegato di EY Italia, Donato Iacovone, sono intervenuti Anna Ascani, deputato Pd e membro dell’Intergruppo per l’Innovazione Tecnologica; Raffaella Pannuti, presidente Fondazione Ant; Sabrina Florio, presidente Anima per il sociale nei valori d’impresa; Alberto Radice, managing director Eon Connecting Energies Italia; Marco Morganti, ceo di Banca Prossima, e Francesco Cappè, executive chairman Fondazione garage Erasmus.

CHI C’ERA AL FORUM DELLA FONDAZIONE ERNST&YOUNG. LE FOTO

COME FARE IMPRESA SOCIALE

“Per fare impresa sociale c’è bisogno di impresa, di capacità di gestione, di managerialità. Il servizio che voi fate non è più possibile farlo con lo spirito del puro volontariato. Quando si parla di terzo settore questo spesso sfugge”, ha detto Iacovone rivolgendosi alle organizzazioni no profit presenti in sala e non.
L’amministraotre delegato di EY ha toccato poi “un tasto dolente”: “C’è molto da riflettere se la dimensione che noi accettiamo delle fondazioni del mondo no profit sia sufficiente o se stiamo sperperando danaro nella polverizzazione eccessiva. So che ciascuno di voi vuole avere il controllo assoluto. Ma questo è qualcosa che va superato se vogliamo aumentare e migliorare”, ha detto il manager.
Le attività del no profit sono destinate ad aumentare nei prossimi anni, gli anziani aumenteranno sempre di più e i bambini delle famiglie sotto la metà del reddito medio cresceranno. “Per rispondere a questi bisogni sarà necessario essere organizzati, possedere capacità, e non manifestare sempre riluttanza verso quello che arriva dalle imprese, perché capita che da esse si accettino solo le donazioni, invece sarebbe opportuno accettare e richiedere supporto manageriale, tecnologico e altri servizi”, ha suggerito l’ad di EY.

I RAPPORTI CON L’IMPRESA

Per Iacovone il segreto è scrutarsi a vicenda e collaborare: “Il settore profit deve studiare di più il settore no profit e viceversa. Perché sarà essenziale intercettare i bisogni delle aziende e i bisogni che le aziende hanno nel coinvolgere i propri dipendenti nelle loro attività”.
Mentre il primo settore sembra essere incline a collaborare, più reticente sarebbero agli occhi di Iacovone, i secondi: “C’è una grande disponibilità, non solo delle aziende, ma anche dei propri dipendenti a intervenire. Ma bisogna fare uno sforzo, un passaggio culturale. Non dobbiamo solo chiedere i soldi alle aziende, ma trovare il mondo di farle partecipare, di restituire un servizio per quei fondi che sono stati ottenuti. Vogliono essere coinvolte. Questo non significa farle intervenire nella gestione, che rimarrebbe in capo alla fondazione, ma cercare di condividere e di ritornare qualcosa, per rendere utile ad entrambi quello che si fa”.

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RIMODERNARSI

L’altro tema messo in risalto da Iacovone è stato quello delle tecnologie disponibili: “Io sento troppo poco parlare di come il digitale salverà questo settore. Sembra come se la raccolta dei fondi andrà avanti sempre come si è fatta fino adesso. Il fund raising del futuro deve utilizzare queste tecnologie. Se con il crowdfunding si raccolgono soldi su un progetto sul web, com’è possibile che questo settore non faccia altrettanto? Chiaro che sarà cosi in futuro, oggi lo fa in parte, ma è altrettanto chiaro che ci sono tecnologie da sviluppare, e cruciale diventerà avere quelle che aiutino le associazioni del no profit a leggere i bisogni delle persone e dare risposte”.
E anche qui le dimensioni contano: “Più piccoli siete e meno possibilità avrete di investire su queste applicazioni. Quindi la dimensione diventa cruciale per fare investimenti nelle tecnologie che consentiranno di gestire un numero più grande di persone e generare impatto sociale”.

LA METAFORA DEL PONTE

“Vanno coinvolte le imprese – ha auspicato il deputato Pd Anna Ascani – Dobbiamo superare il pregiudizio della paura che il profit possa sporcare il no profit, e tirarle dentro. Le grandi imprese già lo stanno facendo, le piccole imprese, che sono la maggioranza, hanno ancora qualche timore perché non vedono il vantaggio, non solo in termini economici, ma anche dal punto di vista della copertura sociale”. Cosa fare? “Come politica, e come terzo settore, quello che possiamo fare è aiutare la consapevolezza di quel mondo. Si tratta di sentirsi parte di un modello di società che non può fare a meno del mondo del no profit ma neanche dell’impresa”, ha aggiunto Ascani.
Il parlamento ha fatto recentemente la sua parte con la riforma sul Terzo settore: “Stiamo per arrivare in fondo al percorso delle due Camere, riconoscendo la semplificazione normativa, vantaggi fiscali e il servizio civile universale”, ha detto la deputata del Pd spiegando la sua idea di no profit: “Io concepisco l’idea del terzo settore come un ponte tra lo stato e il mercato. E un ponte per poter collegare le due sponde deve poterle toccare entrambe. Se noi da un lato, attraverso il lavoro che abbiamo fatto con questa legge, abbiamo connesso il terzo settore in modo più forte allo Stato riconoscendogli il ruolo che deve avere, lo sforzo deve essere fatto dall’altro lato, va connesso cioè ancora di più al mondo dell’iniziativa privata. Perché se il ponte funziona saremo in grado di costruire il nuovo welfare”.

MATURITÀ E INTEGRAZIONE

La metafora del ponte non ha entusiasmato Raffaella Pannuti, presidente della Fondazione Ant, secondo la quale i temi su cui ragionare sono la maturità del no profit, fare capire al pubblico quale sia il ruolo del terzo settore e come è possibile integrarlo nel pubblico: “Il ponte non deve essere il no profit, perché il ponte tra il pubblico e il privato sociale è il pubblico, che deve maturare questo rapporto e capire quali sono le capacità e le risorse che il no profit immette nella sanità pubblica, e non ostacolarlo ma integrarlo nel modo migliore”, ha detto Pannuti dissentendo dalle tesi di Ascani.
“Non voglio una sanità pubblica per pochi ma una sanità integrata per tutti. Non possiamo nasconderci dietro il fatto che la sanità pubblica possa fare quello che fatto fino ad ora. Non ci sono più le risorse economiche”, ha aggiunto il presidente della fondazione per l’assistenza nazionale dei tumori incoraggiando le altre organizzazione a fare di più: “Una associazione di volontariato nasce perché si accorge di un bisogno che il welfare pubblico non è in grado di riconoscere. Quando invece una onlus diventa matura, è lì che raggiunge un impatto sociale. Ecco allora che bisogna imparare a maturare, scardinare la mancanza di conoscenza del no profit”.

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LE SINERGIE

Per Marco Morganti, Ceo di Banca prossima, la banca del Gruppo Intesa Sanpaolo dedicata esclusivamente al mondo non profit, la parola d’ordine è “Insieme”. Intesa come maggiore interazione tra soggetti che operano nel sociale, ognuno nel rispetto della propria natura, ma che assume anche il significato di aggregazione tra profitto e impatto sociale. Un esempio di partnership tra più soggetti citato da Morganti al convegno è quella tra Eon Connecting Energies, Banca Prossima e Fits!, la fondazione costituita da Banca Prossima per supportare il Terzo Settore con l’obiettivo di promuovere l’efficienza energetica, la riduzione delle emissioni e il risparmio nella pubblica amministrazione in Italia.
Ed è parlando di questa sinergia che ai significati attribuiti da Morganti alla parola “insieme”, Alberto Radice, ha aggiunto anche l’indispensabile combinazione tra capitale, in questo caso quello fornito da Banca Prossima, e capacità tecniche, quelle messe a disposizione da Eon.

LE DIFFICOLTÀ

Ma non è così semplice, soprattutto per le realtà non consolidate: “Non è così facile trovare quegli investimenti che possano aiutare una start up sociale a svilupparsi”, ha detto Francesco Cappè, executive chairman della fondazione Garage Erasmus.
Inserendosi nel dibattito Cappè ha sottolineato che “le imprese sono abituate a fare da sponsor, ma non c’è la dinamica di investire nelle imprese sociali, non trovandovi un profitto elevato, seppur esiste un impatto sociale legato all’immagine e alla sostenibilità”.
Quindi la riflessione conclusiva di Cappè è stata la seguente: “Come si fa a investire sul futuro se non c’è chi questo germe lo finanzia quando è ancora una scommessa, perché è lì che si vince la partita, ed è lì che le fondazioni europee magari guardano ad esempio all’Inghilterra piuttosto che all’Italia”.

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