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Giuliano Ferrara e Fiamma Nirenstein presentano “Lettere di Yonathan Netanyahu” curato da Silenzi. Foto di Pizzi

Yonathan Netanyahu, fratello maggiore dell’attuale premier Benjamin, era un soldato, capo del Sayeret Matkal, un corpo speciale d’eccellenza dell’esercito israeliano. Yonathan morì a trent’anni durante l’operazione Entebbe, il blitz condotto nell’omonima città ugandese nella notte tra il 3 e il 4 luglio del 1976 proprio dalla sua sezione per liberare 103 ostaggi israeliani catturati da un gruppo palestinese dopo aver dirottato un aereo dell’Air France partito da Tel Aviv e diretto a Parigi. L’operazione fu un successo, ma il comandante della squadra perse la vita, insieme a tre ostaggi.

Da poco è uscito un volume curato e tradotto da Michele Silenzi dal titolo “Lettere di Yonathan Netanyahu” (editore Liberilibri), che contiene le missive scritte tra il 1963 alla sua morte, nel 1976, da questo giovane soldato che ha vissuto i giorni più nefasti per la vita di Israele. Una scelta di vita, la sua. Brillante studente ad Harvard, Yonathan avrebbe potuto vivere una tranquilla e spensierata esistenza da ebreo americano, e invece decide di mollare tutto e andare a combattere per il suo Paese. E così, sul fronte, è in prima linea nella Guerra dei Sei Giorni e in quella dello Yom Kippur. E dal fronte scrive, da intellettuale qual è, ai genitori, ai fratelli, agli amici, alla fidanzata. E quello che ne viene fuori è una sorta di romanzo epistolare di formazione di un giovane uomo che ha scelto di vivere la sua vita combattendo per difendere il suo Paese. Il giorno dopo la sua morte diventa un eroe nazionale.

“Beato il Paese che non ha bisogno di eroi, diceva Bertold Brecht. Invece Israele e noi tutti di eroi abbiamo un disperato bisogno. In Israele e negli Stati Uniti esiste una grammatica dell’eroismo che noi in Italia e in Europa disgraziatamente rifiutiamo. Yonathan è stato un modello di vita e un esempio per tutti i ragazzi israeliani che vediamo per le strade di Gerusalemme e Tel Aviv con una divisa addosso e un fucile in mano”, ha osservato Giuliano Ferrara, intervenuto alla presentazione del libro, a Roma, insieme con Fiamma Nirenstein, che la cui nomina ad ambasciatrice d’Israele in Italia è stata preannunciata l’estate scorsa proprio da Bibi Netanyahu ed è attualmente in fase di avvicendamento.

“Per le esperienze che aveva vissuto e per tutti i compagni che aveva visto morire, a 23 Yonathan scrive di sentirsi già vecchio. Ma ha avuto sempre la lucida consapevolezza che lo Stato d’Israele fosse davvero in pericolo e bisognava difenderlo. E senza Israele sarebbe stato in pericolo tutto il popolo ebraico”, ha spiega il curatore del libro Michele Silenzi. Per questo motivo Yonathan decide “di portare il fuoco nella notte più buia”. Imbracciando le armi e andando a combattere per difendere quella terra tanto agognata. “Noi ebrei abbiamo un rapporto ancestrale con la terra: la domenica andiamo in gita a vedere una nuova sorgente d’acqua o la fioritura in qualche campo fuori città. La tocchiamo, la odoriamo. Ne siamo orgogliosi e felici”, racconta Nirenstein. Perché è “quando un ebreo arriva in Israele che smette di essere solo un ebreo e diventa israeliano”. Oltre l’attaccamento alla terra, l’altro elemento che emerge dalle lettere è il sentimento di comunità. Yonathan è pessimista sul raggiungimento della pace, che però va sempre inseguita. “Sono così triste quando uccido, un velo di tristezza mi si deposita dentro e non va più via”, si legge in una lettera. “Yonathan soffre a uccidere, ma non si scusa per averlo fatto, perché è necessario per Israele”, continua Silenzi. Al contempo, però, “dalla scrittura traspare come Israele rifiuti la guerra, non la esalta, non c’è volontà di potenza, ma solo esigenza di difendersi”, aggiunge Nirenstein. Per chi ama la storia di Israele, una lettura imprescindibile.

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