Nel pomeriggio di mercoledì il governo di riconciliazione nazionale libico sostenuto dall’Onu (Gna) è entrato in carica a Tripoli. I membri del Consiglio presidenziale e il premier designato Fayez al-Sarraj sono arrivati via mare da Tunisi, scortati da navi militari libiche.
LE MINACCE
L’esecutivo ha momentaneamente sede nella base navale militare di Abu Setta (poco fuori la capitale), per ragioni di sicurezza. Appena insediato il Gna, infatti, il premier del non riconosciuto governo di Tripoli, Khalifa Ghwell, aveva dichiarato: “Al Sarraj ha due opzioni: consegnarsi alle autorità o tornare a Tunisi, è pienamente responsabile del suo ingresso illegale”. Ma nella mattinata di venerdì 1 aprile, i media libici hanno diffuso la notizia della partenza di Ghwell dalla capitale, pare convinto dai leader misuratini che sostengono il nuovo governo a rientrare nella sua città natale, Misurata. Rimangono tuttavia presenti fazioni d’opposizione.
GLI SCONTRI
Ci sono stati scontri più che altro dimostrativi che hanno coinvolto le milizie combattenti che fanno capo a Ghwell e al presidente del parlamento tripolitano Nuri Abu Sahimin, oltre a quelle del leader misuratino ribelle Salah Badi. I combattimenti interessano dall’altro lato le principali milizie di Misurata, che invece appoggiano Sarraj e si sono fatte garanti della sicurezza del Gna. I contrari hanno preso alcune posizioni intorno alla base navale che ospita il governo e in altri snodi cittadini: le forze di Misurata sono notevolmente più forti delle fazioni che si oppongono a Sarraj, ma per il momento lo scontro non è aperto e si tratta soprattutto di posizionamenti e prove di forza.
IL SOSTEGNO
In contemporanea, in varie strade del paese si sono svolte manifestazioni di sostegno al Gna: le municipalità di Sabrata, Zuwara, Zawiya, Zawiya Gharb (ovest), Zawiya Janub (sud), Surman, Raqdalin, Jumayl, Zelten e Alejelat, tutte città che si trovano nell’intorno geografico (e geopolitico) di Tripoli, si sono schierate a favore del nuovo governo.
POLITICA E PROPAGANDA
Dunque nonostante la Comunità internazionale abbia accolto con favore l’insediamento in Libia del nuovo governo, le difficoltà sono ancora notevoli. La crisi di sicurezza, conseguenza dell’opposizione politica, è una realtà la cui consistenza sarà valutabile soltanto nei prossimi giorni, quando si vedrà se agli scontri in corso seguirà un ulteriore aumento della violenza. Momentaneamente le invettive lanciate soprattutto da Tripoli, sebbene il Gna trovi opposizioni anche a Tobruk (rappresentando di fatto il terzo governo del paese), sono legate a prese di posizione politiche per difendere potere e interessi. I soggetti che guidano l’opposizione, come Ghwell, Abu Sahimin, o il presidente del parlamento cirenaico Agila Saleh, sanno che l’instaurarsi del nuovo governo significherà per loro un enorme ridimensionamento. Si tratta di personaggi che cercano di rimanere a galla dopo che le loro posizioni sono state bypassate da Onu, Usa e UE, che hanno forzato il percorso di insediamento di Sarraj: la loro spendibilità internazionale è ora limitata anche da sanzioni UE, che però rischiano di acuire i contrasti e creare un ulteriore problema nel negoziare. Dall’altro lato, alcuni dei miliziani più influenti a Tripoli, come Abdul Hakim Belhaj (che qualche settimana fa era in Italia) o Abdul Rauf Kara, stanno più o meno silenziosamente sostenendo il Gna.
LE PRIME MOSSE DI SARRAJ
Uno dei temi del momento è la possibile richiesta del nuovo premier per ottenere l’aiuto internazionale nel ricostruire le forze armate, ossia la cosiddetta Liam, la Libya International Assistance Mission, prevista — ma mai messa in operatività — dalla missione Onu UNSMIL.
Tuttavia non è detto che questo genere di richiesta di aiuto sia la prima delle iniziative di Serraj, anzi, l’insediamento del governo potrebbe allontanare la missione, perché prima di tutto il resto il Gna dovrà cercare di risolvere i problemi della Libia attraverso i libici. L’aspetto sicurezza è curato adesso da Abdel Rahman al Taweel, capo della Commissione sicurezza del Consiglio di presidenza del Gna, che si occupa di trattare direttamente con le milizie sul campo per conto di una supervisione militare fornita dai consulenti della Nazioni Unite: questo schema secondo l’analista italiano dell’Ecfr Mattia Toaldo potrebbe restare attivo per diverso tempo. “Il nuovo premier è riunito con i rappresentati della Banca centrale per sbloccare il flusso di contanti – spiega Toaldo in una conversazione con Formiche.net – e cercare di affrontare la crisi economica: è stato uno dei primi passi di Sarraj, perché lui e il Consiglio presidenziale sanno che per accaparrarsi il consenso dei libici devono affrontare i problemi reali della popolazione”. Per l’analista italiano, per adesso anche il controllo dei centri nevralgici del paese sarà garantito da forze libiche, “quanto meno per superare le critiche sul fatto che il governo è un fantoccio dell’Occidente, mosso dagli stranieri come dicono gli oppositori”. “Dopo aver avviato la strada per risolvere i problemi, si parlerà dell’aiuto militare internazionale, che per altro è un tema sensibile, perché significa decidere chi dovrà comandare le forze armate e scegliere quali milizie confluiranno nell’esercito e saranno addestrate dagli occidentali: un tema prettamente politico e delicato”, aggiunge Toaldo.
L’AIUTO UMANITARIO
Per il momento l’unico aiuto internazionale ricevuto dalla Libia è quello di carattere umanitario. Mercoledì, insieme al nuovo governo, sono arrivati gli aiuti inviati dalla Mezzaluna Rossa e partiti dagli Emirati Arabi e diretti a Bengasi (gli emiratini sono allineati con Tobruk). Giovedì la Farnesina ha disposto un finanziamento multilaterale di emergenza di un milione di euro a favore del Programma Alimentare Mondiale (PAM) per la distribuzione a favore della popolazione civile di razioni alimentari. A questo si aggiunge la fornitura di tre kit sanitari generici (ognuno dei quali é in grado di garantire la cura di 10.000 pazienti per 3 mesi) e di quattro della tipologia anti trauma destinati a prestare soccorso ai feriti traumatizzati (ognuno per 100 casi). A gennaio il governo italiano aveva già inviato un pacchetto di aiuti pari a 1,4 milioni di euro.
INTANTO LO STATO ISLAMICO È FERMO
Per quel che riguarda invece il piano anti-IS, pare molto probabile che continueranno le “attività mirate” di cui hanno più volte parlato i leader europei, tra cui il premier italiano Matteo Renzi, e non si apriranno fronti più ampi come in Siria e Iraq. Lo Stato islamico negli ultimi periodi non ha guadagnato altro territorio, anche perché a Bengasi si è trovato davanti una più concreta opposizione da parte delle milizie fedeli a Tobruk (che pare abbiano ricevuto il sostengo francese), mentre nelle zone intorno a Tripoli, come Sabratha, le forze locali hanno avviato operazioni di “antiterrorismo”, come quella in cui due degli ostaggi italiani rapiti il luglio scorso sono rimasti uccisi, mentre gli altri due liberati. Le attività delle milizie contro l’IS hanno avuto anche il fine di accreditarsi come partner affidabili agli occhi del Gna, o meglio della Comunità internazionale. Il rischio è che i contrasti al Gna finiscano per inibire queste operazioni favorendo indirettamente l’IS.