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Perché il referendum del 17 aprile è inutile e folle

Quali sono le vere finalità e i limiti del referendum?

Non è un referendum popolare, ma politico: non l’hanno chiesto gli elettori, ma i sinedri di nove regioni, delle quali solo cinque hanno piattaforme; mentre due regioni, pur avendo le trivelle e un fortissimo turismo balneare, non l’hanno voluto (Emilia-Romagna e Sicilia). Per lo più sono regioni gestite dalla sinistra, i governatori appartengono a quel Pd, di cui è segretario Renzi. Ulteriore prova dello stato confusionale di un partito trascorso dall’unanimismo imposto dal comitato centrale all’anarchia conflittuale del “tutti contro tutti”.

Il quesito proposto è quasi incomprensibile: “Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del Decreto legislativo 3.04.2006, n. 152, sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della Legge 28.12.2015, n. 208, limitatamente alla frase: per tutta la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale?”. Cui si aggiunge la consueta confusione tra il sì e il no: chi non vuole le trivelle deve votare sì, chi le vuole conservare votare no.

I mass-media, a stragrande maggioranza, non parlano dei problemi reali e battono il tamburo a senso unico, con un approccio ideologico e non scientifico: meglio votare sì, per difendere la natura la salute, il territorio, la pesca, il turismo, l’agricoltura. Non si appellano al ragionamento degli elettori, ma sfruttano smaccatamente il loro ambientalismo superficiale e sentimentale.

Il referendum cavalca il populismo diffuso. La sfiducia degli italiani è ormai su tutto e non cercano altro che protestare. Sempre che al referendum partecipino, visto che sono anni che quasi sempre manca il numero di elettori richiesto. Non si confrontano due ipotesi scientifiche, ma due utopie, quella pessimista degli ecologisti, che voteranno sì, e quella ottimista degli industrialisti schierati per il no.

Si tratta di un referendum inutile. Vincano i sì o vincano i no, il governo Renzi ha già votato una legge che vieta nel futuro le trivellazioni entro le 12 miglia marine dalla costa, mentre le consente dove oggi sono già in atto soltanto sino all’esaurimento delle risorse. Ciò che si chiede col referendum è di smantellare le piattaforme esistenti. Ma è prevedibile che la vittoria dei sì porterebbe acqua a coloro che vorrebbero estendere il divieto a tutte.

Conseguenze negative della chiusura sulla nostra economia, anche se non catastrofiche, sarebbero inevitabili. A partire dalla perdita di circa 5.000 di posti di lavoro. E’ certo giusto limitare sempre più l’utilizzazione delle fonti fossili di energia e accentuare l’uso di quelle rinnovabili. Ma ciò richiede un lungo processo. Se le trivelle esistenti venissero chiuse, saremmo costretti ad aumentare per molti anni l’importazione di gas e petrolio dall’estero, soprattutto dai paesi arabi, a tutto vantaggio degli sceicchi e dei terroristi.

Non è un referendum, ma una mozione di sfiducia contro Renzi. E’ questo il suo peccato di fondo. Visto che sinora non sono riusciti a sloggiarlo da Palazzo Chigi con le regole parlamentari, cercano di farlo cadere in nome della democrazia diretta. La congiura del referendum, insieme con la speranza che due mesi dopo Renzi perderà le elezioni nei grossi comuni e in autunno il referendum sulle riforme costituzionali, unisce politici di tutti gli schieramenti. La più attiva è la sinistra fossile e non rinnovabile del partito di Renzi.

Appare allora comprensibile la dichiarazione del ministro per l’Ambiente, Gian Luca Galletti: “Se voto, voto no”. Forse che la Norvegia e la Gran Bretagna non hanno a cuore il loro ambiente verde e in gran parte incontaminato? Sono stati fra i primi Paesi a programmare l’uso di energie rinnovabili, ma rimangono ancora i maggiori produttori di petrolio dell’Europa. Al problema, sempre più angoscioso dell’energia, non si può rispondere con la nostalgia di una decrescita della produttività, ma con l’uso sempre più attento e controllato delle fonti di energia, in una sintesi di scienza e morale sociale.

Ma in Italia prevale una mentalità diversa: si vuole tutto senza pagare niente, si pretende la riduzione delle tasse e insieme l’aumento dell’assistenza, nessuno vuole rinunciare a riscaldamento e aria condizionata, internet e facebook, trasporti rapidi ed elettrodomestici, che di energia ne consumano tanta. Vogliono vantaggi e comfort ma non rischi o pericoli. Pongono in primo piano il benessere e lo svago, puntano i piedi come il «signorino soddisfatto» fotografato da Ortega y Gasset ne La ribellione delle masse: «Il bambino viziato che impone la sua barbarie, si crede l’erede delle comodità e della sicurezza conquistate dalla civiltà». Convinto che tutto gli è dovuto.

(Pubblicato su Italia Oggi, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)



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