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Vi racconto il suicidio politico dei No Triv

Per un mese hanno insultato senza pudore. Hanno detto di tutto. Hanno evocato sfracelli ambientali e servitù ai petrolieri. Ora, avendo preso uno schiaffo sonoro, sbandano. Invece di riconoscere la sconfitta e avviare una sana autocritica si abbandonano alle comiche. Come quella di intascarsi i voti per il Sì come voti in cassaforte, domani, ad elezioni politiche contro Renzi. Una scempiaggine. Se, dopo ogni referendum perso, i promotori sconfitti avessero ragionato così, la politica italiana avrebbe un’altra geografia. E i radicali, ad esempio, sarebbero il primo partito italiano. Invece, è noto, non riescono neanche ad entrare in Parlamento. Purtroppo per gli illusi recidivi la vittoria in un referendum ha solo l’effetto che la logica vuole: di conservare la norma che si voleva cancellare e di far apparire vincitore chi si è opposto al referendum perdente. Qualunque siano i numeri della sconfitta. Non illudetevi.

Avendo i referendari trasformato, scioccamente, il quesito in un pronunciamento su Renzi, sullo sblocca Italia e sulla sua politica energetica, ora si intascano, come regola, una sonora sconfitta su tutti e tre questi terreni. Renzi ha vinto e vede anche confermati, dal voto, le ragioni dello Sblocca Italia e della politica energetica del governo. L’Italia ha detto sì a un’accelerazione delle opere pubbliche, agli investimenti esteri e nazionali in energia, allo sfruttamento del gas e del petrolio “nazionali” e ad una politica energetica che, realisticamente, non criminalizzi il gas e il petrolio, da cui dipende e dipenderà per molti decenni ancora il nostro fabbisogno energetico. Questi sono i risultati, veri e tangibili, del referendum. E di questo si rallegrano i renziani ma, anche, non renziani costruttivi e che guardano all’interesse nazionale. Che oggi però sono più orfani di ieri. La politica del fare e quella energetica, confermate con la sconfitta del referendum, non erano, sino a ieri, prerogativa di Renzi. Ma di una più larga parte dello schieramento politico: di alcuni leader della minoranza Pd e, anche, di un centro destra moderato e di governo. Per pura cecità, infantilismo e opportunismo politico costoro hanno cambiato bandiera. E hanno anteposto, alle ragioni di merito del referendum, la strumentalizzazione di esso pur di dare un colpo a Renzi. Avrebbero potuto, oggi, condividere la conferma di una politica giusta. Avrebbero potuto avere il buon senso di distinguere le critiche a Renzi dal merito sciocco e antinazionale di questo referendum. Invece devono intascare una sonora sconfitta. Voluta e cercata. Incredibile.

La sinistra e la destra di altri tempi non fecero mai questo errore. Seppero restare, in tanti referendum, coerenti al merito dei quesiti, evitando di strumentalizzarli per ragioni di partito e si misero, così, al riparo dagli esiti. Prodi, D’Alema, Bersani e Berlusconi da politici di governo, avrebbero dovuto fare così. Dicendo, ad esempio: “Nel merito di questa specifica questione e quesito, il governo ha ragione e il referendum è dannoso e deve essere sconfitto. Chi non voterà ha i suoi motivi”. Lo avevano detto in altri referendum. In questo no. Pur condividendo, in cuor loro,  il giudizio sulla dannosità del referendum hanno ragionato col cupio dissolvi. Hanno anteposto la politica di partito al merito del quesito. Si sono messi, assurdo, dal lato perdente. E hanno finito per regalare a Renzi una vittoria personale. Compiendo un capolavoro: la rappresentatività delle ragioni di merito della battaglia antireferendaria – fare le opere, facilitare gli investimenti esteri, valorizzare le risorse energetiche nazionali – che erano ragioni di un largo spettro politico riformista e di governo, è finita per essere, oggi, solo di Renzi. Cecità politica. Inspiegabile in politici esperti. “Chi è causa del suo mal, pianga se stesso” ma si faccia, almeno… l’autocritica!

Intervento ripreso dal blog di Umberto Minopoli

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