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Rousseau, come funziona la piattaforma a 5 stelle di Casaleggio

Casaleggio

Casaleggio ha lasciato una duplice preziosa eredità. Un manifesto programmatico del Movimento (Veni, vidi, web, edizioni Adagio) e un potente software per realizzare la democrazia diretta. Un sistema chiuso che fornisce, solo al militante e in rapporto al suo luogo di residenza, informazioni su tutto quanto gli serve per fare politica (leggi regionali, nazionali ed europee, parlamento, elezioni e candidati, attività del Movimento). E lo erudisce e orienta (scuola quadri, raccolta fondi, elenco avvocati disposti a difenderlo). Una megamacchina centralizzata non solo nella tecnologia, ma anche nella utilizzazione manipolatoria, dato che il militante partecipa a tutto, ma solo dentro una cornice vincolante imposta dai capi. Ora è di proprietà del figlio di Roberto, che forse sarà il nuovo guru.

Questo Grande Cervello è stato chiamato Rousseau. Il nome più adatto. V’è chi dice che il M5S è un partito leninista, ma non è così. Nato per fare piazza pulita della finta democrazia dei partiti, ha mantenuto dentro il sistema elettorale milioni di italiani arrabbiati e delusi. È ancora un partito democratico, ma diverso dagli altri. Il suo fine è la creazione di una nuova democrazia, che può essere indifferentemente chiamata diretta o totalitaria, proprio come voleva Rousseau.

Anche se parlare di metempsicosi sarebbe eccessivo, Casaleggio è stato il Rousseau italiano dei nostri giorni. Come lui timido e impacciato, misterioso e criptico, la testa nel berretto e paludato in una lunga palandrana sacrale. Ma soprattutto come il ginevrino progettista di una nuova società dell’armonia e della collaborazione (“le regole del M5S le ho scritte io”, ha dichiarato). Le coincidenze fra i due, sia pure nelle mutate semantiche e problematiche, sono molte. Basta chiedersi che cosa voleva veramente Rousseau, come tutti gli storici hanno ormai concordemente mostrato.

Entrambi nostalgici della perduta natura: Rousseau nel Discorso sulle scienze e le arti, Casaleggio nel culto di Thoreau e della sua utopia, Walden ovvero Vita nei boschi (Bur), hanno cercato di farla rivivere nella società tecnologica, incipiente per il primo e invadente per il secondo. Buono per natura, l’uomo è stato corrotto dal cosiddetto progresso, distruttivo della moralità e della felicità. E dalla mania della produttività senza fine, alla quale i pentastellati contrappongono un progetto di “decrescita felice”. La strada per uscire dalla fogna della civiltà non può essere il ritorno ai tempi preistorici, ma la creazione di una società libera e solidale.

Ciò sarà possibile solo quando vincerà la “volontà generale”, ossia un progetto “illuminato e retto”, gestito da un legislatore che non è un politico, ma un profeta. La democrazia indiretta, quella parlamentare, in cui vince la maggioranza (una “volontà di molti” che non sarà mai “volontà di tutti”), è solo una truffa. Casaleggio condivideva le idee di David von Reybrouck (Contro le elezioni, Feltrinelli), che propone di sostituirle con l’estrazione a sorte.

Col Contratto sociale Rousseau non ha fondato la democrazia, ma l’ha distrutta: “Non vi debbono essere società parziali e guai se ogni cittadino pensasse con la propria testa; egli deve invece alienarsi, con tutti i suoi diritti, nella comunità”. Rousseau non ha dubbi: “Una vera democrazia non è mai esistita e non esisterà mai, è contro l’ordine naturale che i molti governino e i pochi siano governati”. Ad Atene dominava tangentopoli, solo a Sparta c’era onestà, perché vi mancava la democrazia. La vera democrazia non è un cocktail di molte religioni, ma il predominio di una sola, quella “religione civile” che attribuisce al popolo solidarietà: “E se qualche cittadino la rifiuta, sia punito con la morte”.

Dal contratto sociale esce una Città religiosa e laica, fonte e garanzia della moralità. Lo stato etico è nato molto prima del fascismo. Per Rousseau la libertà di opinione e di stampa è una peste della società e lo Stato deve usare decisamente la censura per frenare le cattive opinioni dei giornalisti. E deve anche imporre quelle buone, con un’opera massiccia e costante di indottrinamento, servendosi degli spettacoli pubblici come di una pedagogia sociale (come fa Grillo in piazze e teatri): “L’autorità assoluta deve agire dall’interno dell’uomo”.

Anche nella educazione, dove un “cattivo maestro” costringe Emilio a essere libero: “L’allievo dare fare ciò che vuole, ma deve volere ciò che il precettore (Grillo) vuole che faccia”. Più generalmente, occorre costringere l’uomo a essere libero. Come gli utenti di Rousseau, che possono rispondere alle domande prefissate, ma in nessun modo porne delle proprie.

È quel totalitarismo che, dopo il primo periodo ispirato dalla tradizione anglofila di Montesquieu, trionferà nella rivoluzione francese con i giacobini, per opera del più grande discepolo di Gian Giacomo, Robespierre: “Il terrore senza la virtù è funesto, la virtù senza il terrore è impotente”. Ciò di cui abbiamo bisogno è “un dispotismo della libertà” (Marat). Sarebbe fuorviante cercarlo ora nel M5S, ma viene il sospetto che la via tracciata da Grillo e Casaleggio finisca per andare in quel senso: un totalitarismo digitale, presentato come democrazia diretta.

La Grande Mente costruita da Casaleggio non è ancora il Big Brother di Orwell, che con la Tv sorvegliava e controllava ogni momento della vita del cittadino (1984, Mondadori). Che per ora viene guidato nella vita politica: “Pentastellato (Compagno), Rousseau (l’Unità) non lo dice”.

(Pubblicato su Italia Oggi, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)

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