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I soldi dei parenti di Assad in mezzo ai Panama Papers

Il nome che collega il regime siriano del presidente Bashar el Assad all’affaire internazionale “Panama Papers” è quello del cugino da parte di madre, Rami Makhlouf, quarantaseienne businessman siriano, definito anni fa in un cablo del governo americano “a poster boy” della corruzione.

RAMI MAKHLOUF

Nel 2008 Rami è stato messo sotto sanzioni dal dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti perché considerato un insider del regime che “impropriamente beneficia e favorisce la corruzione pubblica” nel sistema di governo siriano e aver “manipolato il sistema giudiziario siriano” utilizzando anche “funzionari dei servizi segreti siriani per intimidire i suoi rivali in affari”. La storia del cugino di primo grado di Bashar è ereditaria: già nel 1990 il padre, Muhammud Makhlouf, trafficava con Hafez Assad (padre dell’attuale presidente e presidente a sua volta ai tempi) attorno alla Real Estate Private Bank siriana, un affare da 110 milioni di dollari l’anno. Rami ha seguito le orma di famiglia, e ha costruito un impero economico in Siria: imprese di costruzioni, società immobiliari, due istituti bancari, ditte nel commercio ed estrazione del petrolio, compagnie aeree e duty free, import-export, telecomunicazioni e l’azionariato di maggioranza della Cham Holding, il più grande gruppo di investimenti siriano. L’impero del suo clan, alawita come quello diretto degli Assad, è stimato intorno ai 5 miliardi di dollari: una cifra che va paragonata all’ultimo Pil siriano pre-guerra civile, quello del 2011, che ammontava a 59 miliardi; per questo si dice che Rami possedesse tre quarti della Siria, controllasse “la metà dell’economia siriana”, come scrive Bloomberg, e nessuno potesse fare affari in Siria senza il suo consenso.

I RAPPORTI CON LA MOSSACK FONSECA

Tre società di comodo off shore sono ricollegate a Makhlouf, secondo quanto uscito finora dagli archivi dello studio legale panamense Mossack Fonseca al centro dello scandalo sui papers: la Pangates International, la Maxima Middle East Trading e la Morgan Additives Manufacturing. Sempre riconducibile all’uomo d’affari siriano c’è un’altra società di comodo, la Drex Technologies SA, utilizzata da Mokhlouff per gestire Syriatel, la più grande azienda di telecomunicazioni siriana, monopolista dopo aver cacciato l’egiziana Orascom: una miniera d’oro condivisa con Maher al Assad, generale comandante della Guardia repubblicana, fratello del presidente Bashar, messa sotto sanzioni dagli Stati Uniti perché aveva spesso bloccato le comunicazione telefoniche ed internet come azione di censura alle proteste e aveva passato registrazioni alle squadracce dei servizi. Drex Tech fu al centro di un’inchiesta nel 2011, quando l’UE alzò sanzioni contro diversi intimi del regime siriano in seguito alla risposta repressiva alle proteste di piazza (da cui poi è scaturita la guerra): la società aveva sede legale nelle Isole Vergini Britanniche, territorio del Regno Unito in cui i provvedimenti europei avevano valore.

LE SANZIONI IGNORATE

Dai documenti trafugati allo studio panamense specializzato in escapologia fiscale (o nel nascondere patrimonio al fisco, dipende dalle letture) risulta che sia la Mossack Fonseca sia l’istituto di credito svizzero HSBC, dove la famiglia Makhlouf aveva posizionato alcuni conti, continuarono a fornire consulenza ai siriani nonostante sia gli Stati Uniti nel 2008, sia l’UE nel 2011, avevano posto Rami (insieme alla moglie Raza) e il fratello minore Hafez sotto sanzioni. Hafez Makhlouf era il capo del General Intelligence Directorate nel 2011, quindi si presume sia uno dei responsabili ultimo della repressione feroce che il regime ha operato contro le proteste civili, ed è sotto sanzioni dal 2007 a causa dell’interferenza dei servizi siriani nelle dinamiche politiche libanesi. Il rapporto tra lo studio panamense, la banca svizzera e i cugini di Assad si è interrotto alla fine del 2011, mentre le sanzioni europee erano state alzate in maggio.

UN AIUTO ALLE OPPOSIZIONI

Eli Lach e Josh Rogin scrivono su Bloomberg che la fuga di documenti del caso Panama Papers può dare alle opposizioni siriane “una nuova forma di leva contro il regime”. L’atteggiamento della Casa Bianca riguardo a Bashar el Assad è cambiato negli ultimi mesi: dal “must go!” di un paio di anni fa si è passati alla posizione espressa dal segretario di stato John Kerry durante l’ultimo round dei talks: Kerry ha detto che potrebbe accettare anche un accordo di pace che avrebbe permesso ad Assad di rimanere al potere per un periodo di transizione, mentre il paese si preparava per nuove elezioni. Ora le opposizioni, oltre a chiedere credito politico ad Assad per la sottrazione di capitali attraverso aggiotaggio, corruzione, clientelismo (un sistema sviluppato fin dal 1970, quando Hafez Assad prese il potere con un golpe), vorrebbero cercare di riportare al popolo tutti i beni sottratti dal regime nelle casse della futura Siria.

IL RECUPERO DEI BENI

“Lo diremo chiaramente, Rami Makhlouf ci sta derubando” era uno dei canti che si sentivano per le strade di Deraa all’inizio delle proteste nel 2011. Per tracciare una linea d’insieme su tutte le attività illecite del regime siriano e dimostrare che ci sono beni sottratti attraverso varie figure collegate è già al lavoro David Tafuri, avvocato specializzato che ha già collaborato con il fu governo di transizione libica per recuperare parte del tesoro del rais Gheddafi (soldi congelati dagli Stati Uniti in attesa di un governo unitario). Le carte di Panama documentano anche partecipazioni immobiliari del valore di milioni di dollari appartenenti a Suleiman Marouf, un altro businessman intimo di Assad. Marouf è proprietario della tv pro-regime Addounia, messa sotto sanzioni dagli americani, ed un collaboratore di Muhammad Nasif Khayrbik, storico consigliere della famiglia Assad e leader della tribù alawita, collegato a molte delle attività più oscure del regime, point-man con l’Iran, morto nel 2015.

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