Matteo Renzi è in una fase importante della sua parabola politica. Il governo che presiede si avvia, infatti, a percorrere un delicato passaggio che si collega direttamente non soltanto alle vicende della Basilicata, ma ancor più ai tempi specifici di sopravvivenza della legislatura.
Le elezioni nazionali, teoricamente, sono ancora lontane, ma, come ben si sa, passata la boa della metà, le cose possono precipitare anche velocemente. In tal senso il premier ha ragione a dire che nel merito non si tratta di un complotto oscuro, ma di un’autentica battaglia politica che si apre su un provvedimento specifico preso dall’esecutivo e va a colpire l’anello più debole del gabinetto, il ministro Guidi, costretta alle dimissioni.
Renzi ha dimostrato di avere coraggio e orgoglio. Rispondendo a Lucia Annunziata, infatti, non ha schivato le responsabilità personali e ha difeso come propria l’iniziativa che sta coinvolgendo anche il ministro Boschi.
Al di là di come procederà la vicenda giudiziaria e a prescindere dalla prospettiva che il presidente del Consiglio venga o meno chiamato dai magistrati a parlare, come lui stesso ha chiesto, il focus politico è di altro genere e diverso dalle apparenze.
Le prossime elezioni amministrative non saranno sicuramente una passeggiata per la sinistra. Sarà molto difficile che in città importanti come Roma e Milano il PD porti a casa un risultato favorevole. E anche il referendum sulle trivelle costituisce un’incognita molto insidiosa, decisiva per capire se e in che misura il Paese reagisce al solleticante rapporto attuale tra industria ed ecologia, tra esigenze nazionali e internazionali e autonomie locali.
Renzi, comunque, ha sostenuto un’azione importante volta a far ripartire le opere pubbliche e ha tentato il riavvio dell’economia, morta dopo Mani pulite, incontrando sempre le consuete resistenze: illegalità, corruzione e poca trasparenza. Si tratta, in definitiva, non di una colpa renziana, ma della conseguenza di un intricato sistema di affari, infeudato e tremendamente farraginoso.
L’opposizione nel suo insieme, da parte sua, cercherà di utilizzare l’ennesima mozione di sfiducia presentata per far deragliare il governo, determinando la crisi interna della maggioranza almeno in Senato. Il risultato non è facilmente conseguibile, ma serve più di tutto per comprendere il grado di popolarità tuttora in atto dell’esecutivo.
Il problema vero è l’assoluta impraticabilità nell’immediato di un’alternativa politica a Renzi, sia nei termini del centrosinistra, che senza il premier sarebbe privo di una maggioranza possibile, e sia nei termini del centrodestra, non coeso al suo interno, diviso in tutto, almeno per ora, oltre che separato dal M5S.
In caso di una caduta di Renzi, le alternative in mano al presidente Mattarella sarebbero, a prescindere da un reincarico, solo due: o tentare la via di un governo di larghe intese, finendo la legislatura in modo simile a come iniziò con Enrico Letta, oppure optare per le elezioni anticipate.
In quest’ultimo caso, si brucerebbe di due anni il futuro, senza chiari vantaggi per nessuno, soprattutto per deputati e senatori. È evidente che la Lega, in crescita di consensi, veda di buon occhio un eventuale ricorso rapido alle urne, ma saranno comunque le amministrative e i referendum a decretare la cosa, non la maggiore efficacia di una mozione in più.
Di Renzi, in fin dei conti, non si può dare un giudizio complessivo sganciato dal contesto: il suo governo non dimentichiamo che è stato l’unico approdo possibile, dopo la scissione del Pdl e la caduta di Letta, ed è segnato costantemente da quel vizio di origine che fu lo stallo parlamentare che portò alla rielezione di Napolitano nel 2013.
Se vogliamo rimproverargli qualcosa, sicuramente viene naturale indicare la scarsa capacità di dare un’interpretazione politica di se stesso fuori dai confini del suo gruppo dirigente, legato a doppio filo alla fiducia personale del suo leader. Oggi probabilmente le sue scelte anche industriali pagano il prezzo di questa opzione parziale, la quale si comprende bene se si pensa al difficile rapporto che Renzi ha con il suo partito, e alla non totale discontinuità di metodo e di stile con Berlusconi.
Vedremo, insomma, nei prossimi mesi se il futuro dell’Italia sarà ancora Renzi, e ancor più se Renzi immagina il suo avvenire alla guida del Paese. Scopriremo inoltre a breve se veramente un centrodestra a trazione Grillo–Salvini potrà generare qualcosa che si chiami ‘interesse nazionale’, e non solo grida di protesta e suggestivi radicalismi.