Roma è la città capitale d’Italia. Non la faccio lunga: la mia idea su come Roma sia stata amministrata nella Prima e nella Seconda Repubblica me la sono fatta (ho 43 anni, vivo da sempre a Roma, non guido e non ho un’automobile) in circa 30 anni da abbonato ai mezzi pubblici. Sintetizzerei così, rubando un’espressione al grande Antonio Martino: servizi africani e tasse scandinave. Una città allo sbando: traffico fuori controllo; strade devastate; ville e giardini in semiabbandono; sporcizia ovunque; sicurezza affidata allo “stellone” (oltre che all’abnegazione delle forze dell’ordine); totale assenza di un “progetto” di sviluppo (economico, urbanistico,infrastrutturale); illegalità diffusa; bilancio sfondato; un esercito spaventoso di 23 mila dipendenti del Comune. Può bastare?
No, non basta. Aggiungo che la municipalizzata dei trasporti, l’Atac, ha (tenetevi forte) 2 miliardi di buco, e quella dei rifiuti, l’Ama, circa 600 milioni.
Dinanzi a ciò, e giuro che non si tratta di un mio scherzo, i maggiori candidati (inutile abbinare nomi e cognomi a ciascuna delle seguenti sortite: mi limito a citare fior da fiore…) hanno avanzato nelle scorse settimane le seguenti proposte:
– funivie antitraffico;
– inversione del senso dimarcia delle corsie preferenziali;
– aumento di stipendio di3-400 euro per i 23mila dipendenti del Comune;
– opportunità o no dicelebrare unioni civili;
– taglie anticorruzione;
– supervisione delle liste elettorali dalla Commissione parlamentare antimafia (e non so da quale altro “Consiglio dei Guardiani”);
– un’utile informazione sul cambio di auto da parte di un candidato quando si trova sul Raccordo Anulare, scendendo da una troppo appariscente Ferrari e salendo su un’utilitaria;
– una pubblicità elettorale che evoca un verso di Pasolini (il quale non può difendersi…): “e tu invece splendi, Roma”.
Di tutta evidenza, siamo all’incrocio tra il surreale e il ridicolo.