Rottamare il Cnel. E’ uno dei refrain al quale ricorre più di frequente il premier Matteo Renzi. Eppure si scopre che nell’ultimo Def (Documento di economia e finanza) si fa riferimento a una delle idee elaborate dal Cnel in corso di cancellazione con la riforma della Costituzione.
La curiosità è emersa martedì scorso nel corso di un seminario sullo sviluppo equo e sostenibile, organizzato da Articolo 99 e Forum Mybes, e coordinato da Elio Caccia. Al centro della discussione l’idea (frutto di un’intuizione del Cnel di circa 15 anni fa) di misurare il benessere di un Paese passando da quello materiale fondato sul Pil al Bes – acronimo di benessere equo e sostenibile – ossia ad una valutazione che non tenga conto solo dei dati economici ma anche – vorremmo dire, soprattutto – di una serie di parametri, legati alla qualità di vita dei cittadini. A tal proposito, Gabriele Olini del Centro Studi Cisl ha ipotizzato che l’Italia e l’Europa possano in futuro varare un well-being compact.
Il presidente dell’Istat Giorgio Alleva ha ricordato il lavoro fatto dall’istituto di statistica insieme al Cnel nel monitoraggio di una serie di indicatori sociali (salute, lavoro, disuguaglianze etc), con il fine di monitorare gli andamenti del Paese e di orientare le scelte politiche in materia. Ha ricordato che gli indicatori di benessere debbono essere parte integrante del processo economico e che il Bes racchiude oggi 17 obiettivi, frutto di 184 indicatori. Ha parlato di “un patrimonio culturale originale” che verrà utilizzato a breve non solo in Italia (come collegato alla prossima legge di stabilità) ma anche in sede Onu, dove è stato creato uno specifico gruppo di lavoro, che si baserà sull’esperienza italiana.
E’ intervenuto anche il presidente della Commissione Bilancio della Camera Francesco Boccia che ha ricordato: 1) il Bes è un tema attuale, di interesse pluripartitico; 2) il rapporto Istat ha dato scientificità e forza al progetto; 3) è stato presentato alla Camera un ddl organico che prevede l’inserimento- nella legge di stabilità – non solo del bilancio per competenza ma anche degli indicatori del Bes; 4) si tratta di una riforma di origine parlamentare e non governativa, alla quale hanno collaborato tutti i partiti; 5) la riforma prevede decreti collegati, che non debbono “scavallare” l’esercizio e non prevede invece le “100 clausole di salvaguardia” che – in questi anni- hanno leso l’autonomia del Parlamento; 6) al Def sarà allegato il Bes; 7) la legge dovrebbe essere approvata entro il 15 settembre, per cui la “regola del Bes” dovrebbe diventare attiva dalla legge di bilancio successiva; 8) il lavoro pluriennale del Cnel sul Bes è stato meritorio.
Secondo la professoressa Lidia D’Alessio della conferenza delle regioni occorre mettere al centro del problema Bes l’individuo. Un Paese andrebbe valutato non tanto sul Pil quanto sull’insieme di più elementi: finanziari, culturali, artistici, professionali. Quattro le principali criticità: i vincoli temporali e normativi; il rapporto tra obiettivi e valutazione; le strategie del welfare; la scarsità di risorse. Da ciò deriva la necessità di ricorrere a fondi europei, di raggruppare gli indicatori in gruppi omogenei e di usare la tecnica del benchmarking. Riforma del bilancio che D’Alessio ritiene debba essere collegata a quella degli enti cosiddetti minori.
La discussione successiva ha, però, messo in luce criticità e dubbi. Che ruolo avranno, nel futuro del Bes, le parti sociali, ora che il Cnel è quasi scomparso in Italia ma è ancora presente nel resto d’Europa? I flussi informativi Istat sono e saranno adeguati?