A dispetto del suo nome, il direttore de Le Figaro, Gaston Calmette, nel 1909 ebbe la temerarietà di pubblicare il Manifesto futurista di Filippo Tommaso Marinetti in cui si annunciava: “Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli! Perché dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell’impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri, noi viviamo già nell’assoluto…”
Più di un secolo dopo ci troviamo a festeggiare in Italia i trent’anni del figlio digitale dei futuristi: Internet. La rete e la possibilità di comunicare con essa cos’altro era negli anni ottanta se non la capacità visionaria di far decadere le barriere del Tempo e dello Spazio? E volendosi tenere sempre sul crinale delle nostre origini, quale immagine migliore dei quadri di Umberto Boccioni, morto nella prima guerra mondiale per la sua ostinata voglia bellica, hanno dato il senso, compiuto, dell’anelito umano alla velocità? Ebbene, la Rete, oltre a tutti i caledoscopici festeggiamenti di questi giorni, al giusto orgoglio dei ricercatori del Cnr, è dare velocità al pensiero, come la tela da’ forma al tratto del pennello o la parola scritta esplicita il pensiero.
Volete un esempio di questa velocità? Il telefono, anche quello inventato da un italiano, Antonio Meucci, ma brevettato solo per un anno (ne perse i diritti per non aver trovato 10 dollari), ci ha messo 75 anni a raggiungere 50 milioni di utenti, la radio 38 anni, la televisione 13 , Internet 4, lo smartphone 365 giorni. Angry Birds, uno dei giochi più famosi in rete, ha centrato lo stesso obiettivo in soli 35 giorni. Siamo ben oltre Internet. In Europa, dal 2008 al 2015 l’economia digitale è cresciuta il doppio di quella reale e i costi di intermediazione latenti in ogni transazione sono stati drasticamente abbattuti dall’ubercapitalismo che permette l’acquisto di beni e servizi comodamente seduti in poltrona. Il problema è che in poltrona resta seduta parte dell’impresa del vecchio continente. Il sistema industriale europeo lavora infatti come se producesse cornette mentre tutto il resto viaggia alla velocità di un videogioco, transazioni finanziarie comprese. Il treno del futuro, decantato dall’elogio marinettiano, spesso non si riesce nemmeno ad intercettare. È vero, ci sono le nuove aziende digitali, i servizi on line, l’economia in 3D. Ma manca l’ardore della progettualità.
Basti prendere l’esempio italiano. Nell’anno in cui la disoccupazione è tornata al livello del 2012 e i prezzi sono fermi come se fossimo ripiombati nel 1959 (ad aprile la deflazione ha raggiunto il -0,4%) per ogni fallimento nel Belpaese hanno aperto 27 start up. Sulla carta sembrerebbe un dato positivo, un segnale di speranza, tipico delle società e delle economie in trasformazione, su cui fondare una ripartenza, in un contesto difficilissimo dove il piano Juncker da 300 miliardi sta cercando di smuovere qualcosa proprio nel finanziamento della progettualità. Ma così non è. Un’impresa su tre che ha smesso di lavorare era proprio una start up, avendo meno di quattro anni di vita. Nella foresta dell’economia italiana cadono quindi le querce come gli arbusti. E non va molto diversamente in Europa, dove si fatica ancora a cogliere i frutti della Terza rivoluzione industriale, appunto quella di Internet, che ha cambiato e sta cambiando i rapporti di forza tra le potenze mondiali e lo stesso concetto di fare impresa e creare ricchezza.
Qualche esempio da tenere presente che ci arriva dagli Stati Uniti? Airbnb vale 26 miliardi di dollari, ha raccolto fondi per 2,3 e occupa circa 500 dipendenti. Snapchat è quotata dagli analisti 26 miliardi, ne ha raccolti 1,2 e dà lavoro fisso a 400 individui. Uber vale 86 miliardi, in marzo ha superato la capitalizzazione di General Motors, ha trovato risorse per 6 miliardi e ha circa 500 salariati diretti (esclusi, per ora, gli autisti). Facebook, il più grande paese del mondo, che ha appena festeggiato dati di bilancio che hanno fatto impallidire le apparenti difficoltà degli altri over the top come Apple, Amazon e Twitter, vale in borsa più o meno il doppio di un barile di petrolio e ciascun utente del miliardo che al giorno utilizza il social network esprime un valore per l’azienda di Mark Zuckerberg pari a 200 dollari pro-capite.
Tutto questo grazie alla velocità della rete e all’abbattimento dello spazio e del tempo, una formula che permette di esportare la democrazia in tutte le piazze del mondo dove è in affanno o oppressa, e di imporre un modello di business innovativo dove vigono invece la libertà e il vecchio capitalismo. Questa per tutti è già la quarta rivoluzione industriale, più forte del cavallo, della macchina a vapore e del microchip. Dovrebbe essere anche l’opportunità, per noi italiani e per tutti gli europei, di creare finalmente anche da queste parti una Silicon Valley dove tutto è possibile e dove i capitali coraggiosi investano sui tanti Marinetti e Boccioni che vivono all’ombra di qualche contratto da ricercatore.
E’ bello festeggiare gli anniversari, ma lo è ancora di più brindare alle nascite.