C’è tutta la storia di un pezzo fondamentale della sinistra italiana nell’ultimo libro di Goffredo Bettini. La sinistra postcomunista di chi, però, non si riconosce nel cammino e nel percorso di esponenti storici di quel mondo – come Massimo D’Alema e Pierluigi Bersani – e che guarda all’esperienza di Matteo Renzi come un’opportunità, seppur non priva di elementi di critica.
“La difficile stagione della sinistra. Impraticabilità di campo?” (Edizioni Ponte Sisto) è anche questo: il racconto del rapporto esistente tra un pezzo degli ex Pci e l’attuale presidente del Consiglio. “Renzi ha rotto i tabù che altri prima di lui avevano avuto paura di infrangere e ha ristabilito il primato della politica“, commenta il presidente del Pd Matteo Orfini, che – tra “i giovani” – della scuola comunista è oggi il principale rappresentante nel Partito democratico. Un giudizio che lo ha portato a rompere anche con l’universo dalemiano dal quale pure proviene.
(CHI C’ERA ALLA PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI BETTINI. TUTTE LE FOTO DI UMBERTO PIZZI)
Nel corso della presentazione del libro al Tempio di Adriano – a cui ieri hanno partecipato anche Francesco Rutelli, Massimo Bray, Lucia Annunziata e Marcello Sorgi – Orfini non cita mai D’Alema. Parla però di Bersani e della sua capacità di incarnare i valori della sinistra, la cui ragione sociale – afferma – è rappresentare i più deboli: “Dall’analisi delle politiche del 2013 è emerso che Bersani era stato votato in particolare da chi non aveva problemi ad arrivare alla fine del mese. Al contrario Renzi – alle europee del 2014 – è stato largamente sostenuto dai giovani precari. Cos’è più di sinistra? Cercare di rispondere alle esigenze di quelle parti della società oppure non essere in grado di rappresentarle?“. Critiche che Bettini sembra condividere: “D’Alema dice che si sente un ospite nel Pd. Ma da cosa dipende? Bisognerebbe chiederlo a lui: non era il regista della sinistra?“.
Rivalità anche personali che hanno raggiunto il culmine quando l’asse D’Alema-Bersani disarcionò dalla guida del Pd Walter Veltroni, di cui Bettini è stato amico ed ispiratore non solo negli anni di governo del Campidoglio ma anche nel lancio del nuovo partito nato dalla fusione tra Ds e Margherita. Nei quattro anni successivi Bettini racconta di essere stato completamente estromesso dal partito, fino alla celebre direzione nazionale di inizio 2014 quando si decise di sostituire Renzi ad Enrico Letta. “Mi sono speso molto per farlo, anche su indicazione della sinistra Pd“, afferma Bettini, che non nega di essere un sostenitore dell’attuale premier pur nell’assoluta diversità. “Nella sua azione politica Renzi non vuole perdere tempo“, scandisce parola per parola Bettini, per far capire quale sia il vero marchio di fabbrica del presidente del Consiglio, per la cui esperienza si dice comunque preoccupato: “Chi cammina sui trampoli prima o poi cade”.
Una valutazione, la sua, giudicata “troppo rassicurante” da Lucia Annunziata, nel cui intervento non è mancata una critica anche netta al modo in cui Bettini giudica i risultati di Renzi. “Nel libro sei stato troppo generoso“, gli imputa la direttrice dell’Huffington Post Italia: “La sinistra deve essere garanzia per i più deboli. Cosa fa Renzi per questo?“. Giudizio che potrebbe quasi far pensare che secondo Annunziata Bettini abbia scritto il libro “per riciclarsi” renziano. Un’ipotesi che la diretta interessata non formula mai apertamente, su cui Bettini non si pronuncia e che Marcello Sorgi smentisce categoricamente.
(CHI C’ERA ALLA PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI BETTINI. TUTTE LE FOTO DI UMBERTO PIZZI)
“Non penso che Bettini abbia scritto questo libro per schierarsi con Renzi“, commenta l’editorialista de La Stampa. Secondo Sorgi, la vera ragione del volume è un’altra: dire che le riforme fatte dall’attuale governo in un anno e mezzo – “migliorabili, perfettibili ma pur sempre approvate” – le avrebbe dovute e potute varare la sinistra di D’Alema, andata al governo per due volte con Romano Prodi tra gli anni ’90 e gli anni 2000 ma sempre senza risultati apprezzabili. “Ha fallito per vent’anni“, dichiara Sorgi. “Non a caso non sarà ricordato come il ventennio della sinistra ma di Berlusconi“, gli fa eco Bettini.
Discorso dal quale bisogna, però, distinguere l’esperienza romana – commenta ancora Sorgi – da considerarsi invece, con le giunte di Veltroni e Rutelli, un esempio di buon governo. Il “modello Roma” che fu lo evocano un po’ tutti i presenti con nostalgia ed anche autocritica. “Quando si esaurì dopo la vittoria di Alemanno nel 2008, non siamo stati in grado di creare un modello alternativo“, fa mea culpa Orfini. E non è un caso che alla fine il Pd abbia affidato le sue chance di vittoria nella città eterna a un uomo che quel modello contribuì a costruirlo, ossia Roberto Giachetti, prima capo della segreteria e poi capo di gabinetto ai tempi dell’amministrazione Rutelli. Il vicepresidente della Camera è la carta che il centrosinistra si gioca a Roma per superare la disastrosa stagione di Ignazio Marino, voluto e sostenuto nel 2013 in primis proprio da Bettini che, però, già da tempo ha fatto autocritica su quella scelta.
Giachetti – insieme al suo braccio destro, il renzianissimo Luciano Nobili – si presenta al Tempio di Adriano solo per pochi minuti, quasi ad affermare la sua provenienza da quel mondo e da quella stagione. Giusto il tempo per raccogliere l’endorsement convinto di Bettini: “Giachetti è la persona giusta per Roma per due motivi soprattutto: perchè riesce a raggiungere realtà che la politica fa fatica ad intercettare e perchè Roma la conosce davvero“. La sala applaude e Giachetti ringrazia. D’altronde – come rileva Lucia Annunziata – “la funzione di Bettini è sempre stata la stessa: ridare le carte in una situazione ingarbugliata, riportare ordine nella sinistra“. “Il suo lavoro – aggiunge – è ricucire“.
Una capacità che Bettini stesso ammette (“ho sempre tenuto i fili dei rapporti molto lunghi“) e che un bel pezzo del centrosinistra gli riconosce. Un ruolo, il suo, ancora rilevante soprattutto a Roma, come dimostra la platea dei partecipanti al dibattito. Seduti tra il pubblico si riconoscono decine di esponenti politici e non solo. In prima fila spicca Sandro Gozi, sottosegretario agli Affari europei e membro di primo piano dell’associazione bettiniana Campo Democratico. C’è Roberto Morassut, deputato Pd, sfidante di Giachetti alle primarie romane e storico braccio destro di Veltroni in Campidoglio. Ci sono tre assessori regionali – Michele Civita, Fabio Refrigeri e Guido Fabiani – oltre al portavoce di Nicola Zingaretti Andrea Cappelli. E poi ancora i popolari Lucio D’Ubaldo e Riccardo Milana, gli ex assessori di Marino Marta Leonori e Maurizio Pucci, la deputata Ileana Argentin, il senatore Raffaele Ranucci, l’economista Pietro Reichlin e addirittura l’ex governatore della Regione Lazio Piero Badaloni e l’ex presidente della Figc e parlamentare azzurro Franco Carraro. Seduto accanto a Bettini – a condurre il dibattito – c’è invece Marco Tolli, coordinatore della corsa di Morassut alle primarie e oggi candidato a un seggio nel consiglio comunale di Roma. Infine, non mancano neppure personalità provenienti da mondi diversi dalla politica, come il manager Pier Giorgio Romiti, i costruttori Pierluigi Toti e Luca Parnasi, l’ex prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro, il presidente della Camera di Commercio Lorenzo Tagliavanti, il segretario della Cgil di Roma e Lazio Claudio Di Berardino e il presidente di Confesercenti Valter Giammaria.
Quasi tutti presenti insomma, per il ritorno sulle scene di quello che per un intero ventennio è stato l’autentico kingmaker di una certa sinistra. Postcomunista ma non dalemiana.
(CHI C’ERA ALLA PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI BETTINI. TUTTE LE FOTO DI UMBERTO PIZZI)