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Banca Marche, Carige e fondo Atlante. Ecco mosse e contraddizioni

Alessandro Penati
Nel mondo delle banche italiane va in scena quella lì per lì può sembrare una contraddizione. Da una parte, per le nuove quattro banche nate dalle ceneri delle ex Etruria, Marche, Carichieti e Cariferrara, sono rimasti in gara solo operatori stranieri, per lo più fondi di private equity. Dall’altra, nel fondo di sistema Atlante, gestito dalla Quaestio presieduta da Alessandro Penati e creato per risolvere almeno un po’ degli attuali problemi degli istituti italiani, compaiono solo investitori di casa nostra.
LE NUOVE BANCHE
Analizziamo meglio le due situazioni. La prima è stata descritta in un articolo del 13 maggio del Corriere della Sera firmato da Fabrizio Massaro. Scrive Massaro: “Si profila la strada verso l’estero per le quattro banche fallite e salvate con il sacrificio di oltre 10 mila obbligazionisti e 3,6 miliardi versati dal sistema bancario italiano nel Fondo di risoluzione. Per Banca Marche, Banca Etruria, CariChieti e CariFerrara sarebbero arrivate sul tavolo del presidente delle quattro “good bank” Roberto Nicastro una decina di offerte non vincolanti, soprattutto da parte di fondi di private equity come Apollo, Fortis, Canterbridge, Anacap, a seconda dei casi per tutte le banche o singoli istituti. Meno della metà delle 26 manifestazioni di interesse di cui aveva parlato Nicastro giorni fa si sarebbero quindi concretizzate ieri alla scadenza del termine. Si sarebbero così sfilate le banche italiane che pure avevano guardato ai dossier, come Bper, Ubi, Cariparma e anche Bpm e Banco Popolare, già immerse nel cantiere della fusione“.
IL CASO APOLLO
Ultimamente, i fondi di private equity esteri sembrano guardare con grande attenzione al mercato italiano tanto ricco di crediti deteriorati (npl) e sofferenze (il grado più estremo degli npl). Basti pensare ad Apollo, noto per avere di recente fatto un’offerta per la genovese Carige che puntava al controllo delle banca e che valutava gli npl ad appena il 17,5% del loro valore originario. Offerta che tuttavia è stata respinta dal gruppo ligure di cui è socia di maggioranza la famiglia Malacalza. Il “no” ha impedito ad Apollo di realizzare il suo progetto, che si dice fosse quello di creare un nuovo gruppo composto dalle quattro banche salvate e da Carige, destinata a diventarne la capogruppo. Non è un mistero che questi fondi di private equity, che spesso hanno un approccio veloce se non proprio “mordi e fuggi” all’investimento, puntino a pagare gli npl il meno possibile così da ottenere un rendimento dall’investimento in tempi molto stretti. E’ ovvio che in un momento in cui le banche italiane devono fare fronte proprio al problema degli npl, con l’obiettivo di liberarsene per alleggerire i bilanci come da dettami della vigilanza europea, questi soggetti stranieri, con le loro offerte a prezzi bassi, abbiano gioco facile, contribuendo peraltro a formare i prezzi di mercato.
IL FONDO ATLANTE
Il fondo Atlante nasce proprio per risolvere questo problema: il governo di Matteo Renzi, il ministro Pier Carlo Padoan e le Fondazioni hanno pensato a un soggetto che, con un approccio di più lungo termine rispetto ai private equity esteri, offrisse per i crediti deteriorati prezzi un po’ più elevati in modo da evitare svendite da parte degli istituti di credito italiani. Non solo: Atlante è stato pensato anche per farsi carico degli aumenti di capitale più rischiosi, vale a dire quello della Popolare di Vicenza, di cui non a caso è già diventato azionista di maggioranza praticamente unico, e quello di Veneto Banca. A proposito di Atlante, sul Corriere della Sera del 13 maggio, ironia della sorte proprio sotto l’articolo sulla good bank, Federico Fubini racconta che nessun soggetto straniero, a eccezione di Allianz, ha investito nel fondo di sistema italiano. Scrive Fubini: “Non è chiaro se le banche estere non credano al progetto, se nessuno abbia chiesto loro con sufficiente forza di contribuire, oppure se abbia ragione un banchiere europeo: «Venti anni di insuccesso economico hanno minato la sicurezza degli italiani nel trattare con gli altri». Di sicuro l’assenza delle banche estere è un messaggio. Ci fossero state, avrebbero segnalato con la loro presenza che la stabilità finanziaria italiana è un bene pubblico globale da tutelare: a maggior ragione ora che la Germania impedisce di arrivare a un sistema europeo di garanzia sui depositi bancari. Il segnale che invece molti investitori percepiscono – magari a torto – è che nel governo non si sta facendo tutto il possibile per rendere Atlante un successo“.
CONTRADDIZIONE SOLO APPARENTE
Eppure la possibilità che gli istituti esteri semplicemente non credano al progetto non appare poi così campata in aria. Proviamo a riassumere: per le quattro nuove banche, sono in corsa solo operatori esteri; nell’operazione di sistema Atlante hanno investito solo soggetti italiani. Per le prime, si può offrire quel che si vuole e quindi si possono anche offrire prezzi molto bassi, proprio come nel caso degli npl (per le quattro banche il problema grosso di npl è stato risolto proprio col salvataggio dello scorso novembre); il fondo Atlante dovrebbe muoversi su prezzi maggiori a quelli dettati dal mercato, per esempio comprando i crediti deteriorati a un prezzo maggiore del 20% del valore originario (ma pur sempre – è sembrato di capire – inferiore al 40% implicito dei bilanci delle banche). Quindi sembra che, semplicemente, gli operatori stranieri, con il loro interesse alle quattro banche, si siano schierati a favore dell’operazione di mercato, anziché di quella di sistema. Perché mai avrebbero dovuto partecipare a un fondo nato per salvare gli istituti italiani e che per farlo, tra le altre cose, si basa sull’assunto di pagare di più gli npl? E perché mai le banche e le assicurazioni italiane che hanno aderito ad Atlante lo hanno fatto (tra l’altro esaurendo verosimilmente risorse da investire per esempio nelle offerte alle stesse quattro banche)? Semplice: perché “invitate” dal governo e perché proprio questa è la prerogativa principale delle operazioni di sistema: non si guarda al rendimento ma alla soluzione di un problema. E magari un domani, in qualche modo, si sarà anche ricompensati.
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