Ma davvero Silvio Berlusconi, che ha aperto una battaglia contro Matteo Renzi per il No al referendum sulla riforma costituzionale, si metterà con il megafono in mano insieme con i Cinque Stelle, Marco Travaglio o anche il suo (ancora per quanto?) alleato di centrodestra Matteo Salvini? Insomma, davvero il Cav, intende fare la rivoluzione d’ottobre con i suoi principali avversari esterni (minoranza Pd compresa) e con quelli che gli insidiano con grande evidenza ormai la leadership interna al centrodestra? Per quanto non più con lo stesso smalto degli anni scorsi, per quanto ammaccato dalle vicende giudiziarie e reso addirittura ineleggibile, forse anche per un bambino sarebbe difficile credere alla favola – cara fin dai tempi della Bicamerale di Massimo D’Alema – di una certa sinistra radicale ma anche di una certa destra che non lo ha mai amato, secondo la quale Berlusconi sarebbe ormai “impazzito” o alla frutta. Invece, seguendo la strategia di sempre e cioè quella di alzare il prezzo con un linguaggio magari brutale ma accessibile a tutti, per poi strappare l’obiettivo che si è prefissato, il Cav, che grida al regime, anche stavolta una strategia chiara la avrebbe.
L’obiettivo massimo sarebbe ovviamente quello di riuscire a far perdere a Matteo Renzi il referendum, non andare certamente a elezioni anticipate, ma a un governo di unità nazionale con un Renzi indebolito per poter cambiare la legge elettorale. Obiettivo quest’ultimo che Berlusconi, del resto, ha già pubblicamente annunciato. Ma il Cav, come raccontano a Formiche.net fonti di rango di Forza Italia, si sarebbe posto in realtà come vero obiettivo quello di “non far stravincere Renzi al referendum”. E quindi, di fare in modo che il premier e segretario del Pd vinca di misura. Con un premier vincente ma di misura sarebbe più facile ottenere il cambio dell’Italicum, strappando il premio di coalizione. In questo modo Forza Italia non sarebbe più obbligata a entrare in un listone unico con un Salvini rampante, che rischierebbe di ridurre la classe dirigente azzurra al Nord, nelle parti insomma del dominus distributore di seggi come una volta lo era, per conto di Berlusconi, Denis Verdini dentro FI.
Il No al referendum è evidente che è anche un modo per non regalare altri voti al leader della Lega Nord. E mantenere per ora con lui e Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, unita la coalizione, se non altro per far vincere Stefano Parisi a Milano. Il candidato azzurro a Milano non è un caso che stia resistendo al pressing dell’”altro Matteo” perché ingaggi insieme con lui la battaglia per il No. C’è chi in ambienti azzurri fa notare che questo atteggiamento cauto del candidato di centrodestra a Milano dia il senso più di tanti discorsi della vera strategia di Berlusconi. Il quale sa bene che più italiani andranno a votare più aumenterà la possibilità di una vittoria di larga misura di Renzi. Proprio quello che lui non vuole. Ecco perché finora di fatto i comitati per il No si Forza Italia sono rimasti sulla carta e almeno fino al momento in cui scriviamo nessun personaggio esterno di spicco abbia fatto da megafono azzurro per il No.
Dunque, contenere la vittoria di Renzi e cambiare l’Italicum. Certo, obiettivo questo che lo accomuna alla minoranza Pd, ma Berlusconi, dicono i suoi, “sa bene che tanto la minoranza del Pd non solo l’ha giurata a Renzi ma anche a lui”. Quindi, semmai solo di convergenze tattiche si tratterebbe. Men che meno a quale improbabile ritorno ai “Dalemoni”. Di fatto il Cav potrebbe però sperare che a Roma D’Alema faccia convogliare voti su Alfio Marchini. Ma queste sono solo ipotesi. Il punto per Berlusconi sarebbe contenere Renzi, liberarsi dalla morsa lepenista di Salvini e Meloni e far crescere una nuova Forza Italia, quella classe dirigente di moderati di centrodestra che il Cav avrebbe già individuato in due figure di spicco come Marchini e Parisi. Che vincano o no, il punto, soprattutto a Roma, è che arrivino prima degli alleati versione lepenista. Anche quando naufragò la Bicamerale, dissero da sinistra a destra che il Cav era “impazzito”.
Di fatto da lì ripartì la sua traversata nel deserto che lo riportò in sella a Palazzo Chigi nel 2001. In politica è cambiata un’era geologica da allora. E il Cav è sulla soglia degli 80 anni, anche se in politica è solo entrato cinquantenne. Età e curriculum (da imprenditore e ex premier) per dire a Salvini e Meloni :“Vi serve una impuntatura educativa”. Frasi che fanno immaginare un quadro tutt’altro che rosa per il futuro nei rapporti con questi alleati. E che soprattutto lasciano immaginare l’altro centrodestra e i suoi uomini nuovi per il quale il Cav sta già lavorando. Una strategia e uno scenario che però sarebbero resi più complicati da una stravittoria di Renzi al referendum d’ottobre.