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La Malfa, Maccanico e le diatribe repubblicane sulla Costituzione riformata

Nessuno l’ha citata apertamente ma ieri all’Ara Pacis – al dibattito organizzato dall’associazione Civita sull’eredità costituzionale di Antonio Maccanico – erano in molti a pensarci. Non poteva passare inosservata, d’altronde, la lettera che l’ex leader del Partito Repubblicano Italiano Giorgio La Malfa ha inviato a Gianni Letta e Stefano Folli e che è stata pubblicata ieri dal Fatto Quotidiano (consultabile anche sul suo sito personale).

Di suo padre, Ugo La Malfa – fondatore del Partito d’Azione prima e del Pri dopo, più volte ministro e anche vicepresidente del Consiglio con Aldo Moro – Maccanico fu amico intimo, consigliere e capo di gabinetto al ministero del Bilancio nel 1962 (qui la vita di Maccanico tratteggiata da La Malfa). Era inevitabile dunque che le parole del figlio di La Malfa facessero capolino al convegno dal titolo “Il futuro costituzionale dell’Italia. Un incontro in ricordo di Antonio Maccanico“,‏ cui sono intervenuti, tra gli altri, l’ex giudice costituzionale Sabino Cassese, il ministro per le Riforme costituzionali Maria Elena Boschi e quello dei Beni culturali Dario Franceschini.

Nella lettera La Malfa chiedeva ai partecipanti all’iniziativa di non ascrivere l’ex segretario generale del Quirinale con Sandro Pertini allo schieramento di chi il prossimo ottobre si pronuncerà favorevolmente al referendum confermativo: “Mi auguro che il dibattito non punti e neppure porti ad arruolare Maccanico tra i partigiani del Sì alla riforma costituzionale. Maccanico era un fermo sostenitore del sistema costituzionale attuale ed anche del sistema elettorale proporzionale“.

A rispondere a La Malfa, seppur solo indirettamente, è stato Nicola Maccanico, figlio dell’ex ministro, che ricopre anche il ruolo di vicepresidente di Civita: “Ho letto su un certo giornale alcune prese di posizione curiose“. Secondo Maccanico junior, ci sono due elementi sicuri che devono essere evidenziati quando si parla dell’orientamento di suo padre sul tema delle riforme costituzionali: “Nessuno può essere sapere con certezza cosa avrebbe detto di questa riforma“, ha innanzitutto commentato, quasi a sottolineare che neppure La Malfa possa fregiarsi di conoscere la verità. E poi ha aggiunto: “Di certo  avrebbe amato una discussione nel merito“.

E del merito della nuova Costituzione si è discusso nel corso del dibattito, sempre in un’ottica di riflessione sul pensiero di Maccanico. E’ il moderatore – l’editorialista politico di Repubblica Stefano Folli, che con lui ha condiviso in passato la militanza nel Pri – a indicare alcuni degli elementi fondamentali che ne hanno caratterizzato le idee costituzionali: in particolare – per l’ex portavoce di Giovanni Spadolini –  la priorità Maccanico la accordava ai tema della “stabilità dell’esecutivo” e del “bilanciamento dei controlli“.

Aspetti cui Cassese ne aggiunge un altro, fondamentale per capire che cosa – secondo i partecipanti al dibattito – Maccanico direbbe della riforma costituzionale Renzi-Boschi: “Era convinto che la Costituzione non fosse qualcosa di immutabile, che potesse e dovesse essere riformata“. D’altronde – aggiunge Cassese – anche il costituzionalista “Menuccio Ruini disse in Assemblea Costituente che la Costituzione non era perfetta“. Da modificare, dunque, salvo che “nel suo asse portante“, ossia la prima parte. Peraltro – argomenta Cassese – Maccanico era contrario a quella che “Costantino Mortati definiva l’azione ritardatrice del Senato“, a evidenziare quanto in fondo non fosse favorevole al bicameralismo paritario cui la riforma del governo Renzi mette fine.

Franceschini che – di Maccanico fu sottosegretario nei governi di Massimo D’Alema e Giuliano Amato – ricorda quanto lo stesso ex ministro non fosse soddisfatto della riforma del titolo V della Costituzione varata da quegli esecutivi di cui faveva parte: “Non ne fu contento“. “Oggi vorrebbe che si discutesse nel merito e che non si caricasse il dibattito di significati ulteriori“, aggiunge il ministro dei Beni Culturali. E a chi gli fa notare che è stato lo stesso Renzi ad annunciare il ritiro dalla politica in caso di sconfitta risponde: “Siamo in un Paese di smemorati, non so se consapevoli. Il superamento del bicameralismo perfetto, la riduzione del numero dei parlamentari e l’intervento sulle competenze delle regioni sono temi di cui si parla da anni. Eppure, continuo ad incontrare persone che firmano appelli contro dopo quelli pro riforme firmati in passato“.

Tra i partecipanti al dibattito l’unica a non averlo conosciuto personalmente è il ministro Boschi. “Si farebbe un torto a Maccanico se ne venisse dimenticata l’eredità“, si limita a commentare, prima di spostarsi sulle ragioni della riforma: “C’è la consapevolezza diffusa che l’attuale sistema costituzionale non funzioni“. Un’inefficienza confermata, secondo Boschi, dai ripetuti tentativi di riforma fatti nel corso dei decenni da forze politiche tra loro anche molto diverse. “Sono ottimista che noi ci riusciremo“, commenta il ministro che, infine, quasi sibillina aggiunge: “La riforma è pensata in modo da far funzionare la Costituzione e le istituzioni anche se in futuro sarà fatta una legge elettorale diversa, non maggioritaria“. Ma non è che quella legge – di riforma dell’Italicum – sta riflettendo se vararla il governo Renzi?

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