prima ancora di essere un referendum sulla unione europea, quello del 23 giugno, in gran bretagna, è un referendum sul mercato. sulla stampa, pro e contra sono tutti esclusivamente analizzati sul piano economico. il 23 giugno i britannici non sono chiamati a scegliere tra due progetti politici, tra due visioni del futuro, tra due concezioni della vita. tutti i commenti elencano i vantaggi economici, finanziari, occupazionali connessi alla partecipazione alla ue. non c’è opinionista che sia in grado di evocare le idealità dell’unione europea, al più si ricorda che da quando è iniziata l’integrazione le nazioni del vecchio continente hanno smesso di farsi la guerra. ma se tacciono i cannoni, questo non significa che non ci sono vittime. sono quelle del mercato, che riduce l’aspettativa di vita, crea denatalità, cambia il concetto di qualità della vita, soppiantando il benessere con il pil. quello del 23 giugno è un referendum sul mercato. perché è il mercato che vuole la apertura delle frontiere agli immigrati. come ha dichiarato la ministra tedesca dell’istruzione, johanna wanka, è il mercato che pretende la flessibilità e la flessibilità comporta insicurezza, che a sua volta determina denatalità e la denatalità si risolve “importando immigrati”. sotto le direttive della unione europea, il mercato da strumento è divenuto fine, performando dei suoi principi la società. dire mercato equivale a dire società di mercato, come denuncia karl polanyi. e infatti il mercato si fa sentire. il crollo delle borse e la svalutazione della sterlina non sono mere reazioni tecniche, ma la plateale rivendicazione del ruolo politico assunto dal mercato. il re è nudo. e il 23 giugno saranno i britannici a dire a quale sovrano intenderanno affidare il loro destino (e il nostro).
Brexit, popolo contro mercato
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