Strana campagna elettorale quella che si é svolta a Roma ed é in procinto di concludersi. Poca mobilitazione e partecipazione popolare. Scarso confronto programmatico, con parole d’ordine un po’ scontate: le buche delle strade, la sporcizia, i trasporti che non vanno, la sicurezza dei cittadini. Ma senza alcuna spiegazione delle cause che sono all’origine di un dissesto così evidente. Tutto, quindi, a bassa intensità. Al punto che sono in molti a chiedersi: ma si punta a vincere o solo a partecipare?
Comunque sia, i risultati saranno forieri di sorprese e, quindi, di possibili svolte successive. Sono in molti a giocarsi qualcosa di più di una semplice poltrona a sindaco della Capitale d’Italia. A partire da Matteo Renzi, nonostante l’indifferenza mostrata verso gli esiti finali del confronto in città come Roma e Milano. C’é naturalmente quella sorta di “secondo tempo”, rappresentato dal referendum costituzionale. Ma le interferenze, vista una più generale incertezza, sono evidenti.
Nemmeno il centrodestra può dormire sonni tranquilli. Le fratture emerse al suo interno, le geometrie variabili che si sono manifestate, lasciano intravedere quanto sia indispensabile un’innovazione profonda, in grado di dare rappresentanza politica ad una classe media sempre più delusa da una politica che non solo non scalda il cuore, ma si rattrappisce in liturgie spesso incomprensibili.
C’é poi la prova del nove del movimento di Beppe Grillo. Anche in questo schieramento si nota una certa stanchezza, nonostante la giovane età di tanti suoi militanti. Le uniche idee – forza evocate sono quelle dell’onestà – come non essere d’accordo – e salario di cittadinanza. Missione impossibile, quest’ultima, non solo per i costi, ma per quel senso di deresponsabilizzazione individuale, che una simile proposta lascia intuire.
Deciderà, com’é naturale, il “secondo turno”. Ma sarà una cosa ben diversa, almeno per Roma, dal passato. Votare il 5 giugno, sarà come partecipare alle “primarie”. Anche se non saranno quelle che abbiamo visto nelle sedi del Pd. Si sceglieranno i a due campioni, che parteciperanno alla sfida definitiva. Quali i possibili esiti? Conviene analizzare le possibili combinazioni.
Al ballottaggio vanno il centro sinistra ed il centro destra, guidato da Alfio Marchini o Giorgia Meloni. Il caso più classico, ma con un risvolto non secondario. Se sarà il primo a superare il primo turno, sarà la vittoria dei “centristi”, con il conseguente taglio dell’ala più massimalista. Se passerà Giorgia Meloni, la strategia, che si sarà dimostrata più forte, sarà l’ipotesi Salvini: Lega Nord e Fratelli d’Italia. In entrambi i casi non vi potranno non essere conseguenze a livello nazionale.
C’é, ovviamente, anche la possibilità che al ballottaggio vadano i due esponenti del centro – destra: Marchini e Meloni. Ipotesi improbabile, sebbene interessante. In questo caso la verifica definitiva, con le conseguenze analoghe al caso precedente, si avrebbe solo al secondo turno. In cui Marchini sarebbe in pole position, avendo una forza di attrazione superiore nei confronti della restante parte dell’elettorato. Sarebbe la conferma di tutte quelle teorie dell’elettore mediano, che i sociologi della politica ci hanno propinato.
E cinque stelle? I bookmaker ne accreditano la vittoria. Almeno al primo turno. Poi si vedrà, ma fino ad un certo punto. Il confronto, in questo caso, sarà tra una forza politica che rifiuta ogni forma di alleanza e la restante parte dello schieramento politico. Uno sorta di Nazareno, una solidarietà nazionale seppure obbligata, chiamatela come volete, contro uno schieramento che avrà al centro Beppe Grillo ed intorno, spezzoni di quelle forze che non hanno passato il primo turno. Anche a in questa seconda ipotesi, un test di carattere nazionale.
In tutti i casi, Roma, con la sua crisi specifica, c’entra poco. Vi sono, quindi, quindici giorni per aggiustare il tiro. Per parlare, cioè, dei problemi veri della Capitale. E preparare tutti alla medicina, qualunque essa sia, che dovrà inevitabilmente essere somministrata. Speriamo solo che questo avvenga. L’esperienza insegna che le cure funzionano solo se il malato é consapevole del suo precario stato di salute. E si impegna per venirne fuori. Questo dovrebbe fare un buon medico al capezzale del proprio assistito. E non é detto che, proprio grazie a questa maggiore diligenza, non possa vincere le elezioni.