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Cosa pensano Antonio Fazio e Giuseppe Guzzetti di fondo Atlante, italianità e Bce

Di sicuro non mollano; ciascuno nel suo campo ha contribuito a plasmare il sistema bancario italiano e hanno ancora molto da dire. Giuseppe Guzzetti, 82 anni, è ancora il grande capo delle Fondazioni di origine bancaria, l’uomo che con la Cariplo ha contribuito a costruire Banca Intesa, insieme a Giovanni Bazoli, che ha portato le fondazioni nella Cassa depositi e prestiti e adesso cerca di salvare il salvabile con il fondo Atlante. Antonio Fazio, 80 anni, oggi in pensione, come governatore della Banca d’Italia ha stroncato l’inflazione nella seconda metà degli anni ’90 e ha guidato la privatizzazione delle banche italiane secondo un progetto basato sulla crescita delle banche locali e la nascita di alcuni campioni nazionali, che ai suoi occhi dovevano restare nazionali. E su questo punto, oggi, al convegno su “Ruolo delle Fondazioni bancarie; banche, direttive europee, economia reale”, si sono trovati in perfetta sintonia.

In particolare, Guzzetti ha vantato come merito delle Fondazioni il contributo a difendere l’italianità. “Se il centro decisionale sta a Parigi e non a Roma non è vero che non fa differenza”. Guzzetti non ha fatto nomi, ma tutti hanno pensato a Bnl ormai integrata in Bnp. Ma anche a Unicredit nella cui proprietà spiccano il fondo lussemburghese Aabar, che fa capo all’emiro di Abu Dhabi (azionista numero uno), il fondo americano BlackRock al secondo posto e la Banca centrale libica al quarto. E proprio in Unicredit è in corso una faticosa ricerca del nuovo amministratore delegato per il cui posto corrono anche nomi stranieri. “Le fondazioni non debbono pasticciare nelle banche – ha ribadito Guzzetti il quale ha ricordato che il peso delle banche nei bilanci è ormai inferiore a un quinto – ma non è sbagliato che possano garantire l’italianità”.

Al convegno hanno preso la parola anche Paolo Andrei presidente della fondazione Cariparma, Angelo De Mattia ex dirigente della Banca d’Italia ed editorialista economico, Enzo Papi presidente della Termomeccanica, Gianluca Oriccchio del Campus biomedico, Alberto Brandani della fondazione Formiche che ha organizzato il convegno. Il filo conduttore comune ha riguardato la funzione sociale ed economica delle istituzioni senza fini di lucro emanazione delle casse di risparmio.

Guzzetti ha ricordato la battaglia nei primi anni Duemila perché venisse confermata la facoltà delle fondazioni di promuovere lo sviluppo collegato al territorio. E, di nuovo senza far nomi, ha condannato quelle che si sono svenate con investimenti sbagliati e con una esposizione eccessiva nella banca di riferimento anche se la legge prevede che non si possa concentrare in un solo investimento più del 30% del proprio patrimonio. Il bersaglio, come è evidente, è il Monte dei Paschi di Siena.

Un altro punto fermo ribadito da Guzzetti è il “ruolo terzo” tra pubblico e privato, con la fondazione che svolge una funzione di sussidiarietà, non si sostituisce al comune o alla regione. E qui non si può non scorgere un riferimento indiretto all’uscita di Chiara Appendino che, appena eletta sindaco di Torino, ha chiesto la testa di Francesco Profumo al vertice della Compagnia di San Paolo, che è anche azionista forte del gruppo Intesa Sanpaolo. Il M5S non ha mai nascosto che intende usare “i soldi delle banche” per mantenere i propri impegni elettorali a cominciare dal reddito di cittadinanza. Anzi si sono spinti a chiedere che la Banca d’Italia diventi uno strumento del governo e finanzi a sua volta un fondo per il reddito di cittadinanza e uno per le piccole imprese.

Un tema controverso riguarda anche il ruolo delle fondazioni nella Cassa depositi e prestiti e la stessa natura della Cdp, un po’ banca atipica, un po’ fondo sovrano, un po’ strumento di salvataggio per le imprese in crisi, oltre alla funzione tradizionale di raccogliere il risparmio postale e finanziare gli enti locali. Guzzetti ha sottolineato in particolare gli impegni di carattere sociale (come lo Housing sociale proprio insieme alla Cdp), prioritari in questa fase di crisi. E si è augurato che la Cassa continui sulla stessa strada, come ha fatto finora. Quando ad Atlante ha ricordato che senza i 536 milioni delle fondazioni non sarebbe stato possibile raggiungere la soglia minima richiesta dalla vigilanza europea.

Proprio le regole europee sono state un punto centrale dell’intervento a braccio svolto da Fazio. L’ex governatore ha ricordato che negli Stati Uniti la vigilanza bancaria non la fa la Fed a Washington, ma è affidata alle 12 Federal Reserve che costituiscono il sistema. E questo sarebbe dovuto essere il modello da adottare anche nell’area euro. “Finché la vigilanza è rimasta nelle nostre mani – ha detto – nessun risparmiatore ha perso una lira e questa è stato alla base della fiducia e dell’alto tasso di risparmio italiano”. La vigilanza unica a Francoforte è stata a suo parere una scorciatoia alla quale si è fatto ricorso quando la moneta unica è entrata in crisi, poi i paesi più forti hanno adattato le regole alle loro convenienze.

Ma la lezione di Fazio si è concentrata soprattutto sulla politica economica. Dal 2008 al 2015 gli Stati Uniti sono cresciuti dell’11%, il Regno Unito del 7%, la Germania del 6%, i Giips (Grecia, Italia, Irlanda e Spagna) hanno visto il loro pil ridursi di 7 punti, il resto della Ue (senza Germania e senza Giips) è cresciuta dell’un per cento appena. E’ la fotografia perfetta che vede l’America keynesiana riprendersi e l’Europa del rigore ristagnare o crollare addirittura nei paesi meridionali. La Germania fa eccezione perché ha potuto avvantaggiarsi della svalutazione dell’euro anche grazie alla politica monetaria espansiva di Mario Draghi.

Per la verità, a favore della Germania ha agito anche un aumento della efficienza produttiva e Fazio ha presentato una serie di dati che mostrano il divario con l’Italia: nel decennio 2005-2015 il pil italiano è sceso del 5% trascinato da un crollo della produzione industriali pari al 25%, la Germania è cresicta di ben 15 punti. “Per cercare di recuperare – ha detto – bisognerebbe ridurre il costo del lavoro per unità di prodotto”. Ma la chiave per una vera ripresa europea è indurre la Germania a cambiare la sua politica mercantilistica che l’ha portata ad accumulare un attivo della bilancia dei pagamenti superiore a quello cinese, non solo in rapporto al pil, ma in cifra assoluta il che sembra paradossale tenendo conto della differenza di taglia, anche economica, tra i due paesi.

In modo diverso, Guzzetti e Fazio hanno lanciato., dunque, un messaggio forte al governo, l’uno sulla politica bancaria, l’altro sulla priorità nella politica fiscale. All’insegna di Keynes, se vogliamo, ma soprattutto (anche grazie alla comune radice cattolica) della economia sociale di mercato nella versione italiana.

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