Se Matteo Salvini è costretto ad aggrapparsi alla risicata vittoria della leghista Susanna Ceccardi nell’ex roccaforte rossa di Càscina, comune da 45mila anime in provincia di Pisa, significa che le cose per il Carroccio a questi ballottaggi non sono andate poi così bene. Ieri sera a Porta a Porta il leader della Lega Nord ha cercato di buttare la palla avanti, rimandando tutto alla manifestazione di sabato prossimo a Parma dove intende lanciare un nuovo progetto politico del centrodestra; si è difeso scodellando il pur incredibile risultato toscano e ha iniziato a scaricare sul moderato Stefano Parisi le colpe per la sconfitta di Milano. Ma non ha riconosciuto il verdetto complessivo delle urne che ridimensiona – e non di poco – le sue ambizioni politiche. Al centro sud, soprattutto, ma con preoccupanti segnali anche al nord.
IL CASO LOMBARDO
Quel che più scotta per Salvini non è la sconfitta di Parisi contro Beppe Sala a Milano. In quel caso il leader leghista avrà buon gioco nel biasimare la scelta di un candidato moderato che alla fine non l’ha spuntata, ben sapendo però che con un salviniano duro e puro il centrodestra non sarebbe andato da nessuna parte; e anzi a Milano si vocifera di quanto poco qualche salviniano si sia speso per Parisi. Ma il problema principale arriva da Varese. E non solo per Salvini, ma anche per Roberto Maroni che nella culla del leghismo si era candidato capolista ma non è riuscito a trascinare alla vittoria al ballottaggio il candidato del centrodestra Paolo Orrigoni. Tocca così allo sconosciuto avvocato del Pd, Davide Galimberti, espugnare la roccaforte del leghismo lombardo. Se a questo si aggiunge il deludente 11,7% della Lega a Milano (contro il 20,21% di Forza Italia) e le poco più di 8mila preferenze raccolte dal capolista Salvini (contro le 12mila di Mariastella Gelmini) si capisce che anche negli equilibri del centrodestra lombardo qualcosa si è incrinato. Ci sono però altri Comuni, come l’ex roccaforte rossa San Giuliano Milanese, in cui il centrodestra compatto si è guadagnato la vittoria. E questo, secondo l’analisi del capogruppo di Ap Maurizio Lupi, dimostra che dove si punta sul modello lombardo (alleanza larga che tiene dentro anche Ncd e non è sbilanciata sulla destra) è ancora possibile battere il Pd e i 5 Stelle.
DISFATTA A TORINO, RIVINCITE IN PERIFERIA
Abbiamo vinto a Novara, ma anche a Trecate, Domodossola, Narzole e Carmagnola! La Lega Nord Piemont é tornata! Che notte fantastica…. Grazie a tutti i nostri straordinari militanti e candidati per questi successi, ‘ndoma Piemont!”. Esulta così il segretario nazionale piemontese del Carroccio, l’alessandrino Riccardo Molinari, alla notizia che il suo partito ha conquistato un capoluogo di provincia come Novara (il leghista Alessandro Canelli si è imposto sul sindaco uscente Andrea Ballaré) e altri piccoli centri. Brucia però il dato di Torino, dove il Carroccio è stato spazzato via al primo turno (Alberto Morano si è fermato all’8,39%) e al ballottaggio la grillina Chiara Appendino si è presa tutta la scena ponendosi come vera e unica alternativa percorribile al sistema di potere del Pd sotto la Mole.
IL VENETO SORRIDE GRAZIE A ZAIA, IN FRIULI VINCE LA COALIZIONE
Se c’è una regione dove la Lega si è confermata come forza di governo, questa è il Veneto. Ma qui il merito va dato soprattutto al governatore Luca Zaia, che non si è immischiato troppo nelle vicende di partito e a proporsi con un profilo da valente amministratore. Sull’onda della abbondante vittoria alle regionali di un anno fa, la Lega Nord ha conquistato diversi Comuni al primo turno e al ballottaggio si è ripresa importanti centri come Oderzo (in provincia di Treviso ha fatto l’en plein, 7 su 7) contribuendo alla vittoria di Adria. Sconfitta invece in quel di Chioggia, dove l’ha spuntata il Movimento 5 Stelle con Alessandro Ferro.
In Friuli Venezia-Giulia, invece, la vera batosta è ai danni della governatrice renziana Debora Serracchiani; la Lega ha contribuito alla vittoria nelle importanti piazze di Trieste (con Roberto Dipiazza) e di Pordenone (con Alessandro Ciriani). Ma in entrambi i casi si trattava di candidata di coalizione, non esclusivi del Carroccio, a dimostrazione di come non sia il modello Salvini a risultare vincente.
LUCI E OMBRE IN EMILIA-ROMAGNA
Lucia Borgonzoni non ce l’ha fatta ad espugnare Bologna. Era pressoché scontato che una candidata fieramente salviniana ed estranea all’establishment della città non riuscisse a battere il Pd nel suo fortino, nonostante i bolognesi non amino particolarmente il sindaco riconfermato Virginio Merola. La Borgonzoni è sì stata brava a recuperare i 30mila voti che l’avevano separata al primo turno dal candidato del Pd, che però al ballottaggio ne ha presi 15mila in più guadagnandosi così la vittoria finale col 54,64%. A Salvini non è riuscito il colpaccio nemmeno a Ravenna, dove la Lega Nord – azionista di maggioranza della coalizione di centrodestra – aveva puntato su un candidato dal profilo civico come il commercialista Massimiliano Alberghini, fermatosi al 46,68% contro il 53,32% del candidato del Pd, Michele De Pascale. Il Carroccio ha comunque conquistato due Comuni emiliani come Pavullo e Finale Emilia (dove il Pd ha pagato le inchieste post-terremoto), ma ha perso la sua roccaforte di Cento in provincia di Ferrara che è andata a un civico.