Non c’è quasi esponente politico o rappresentante delle istituzioni di ieri o di oggi che in queste settimane non si sia schierato sulla riforma della Costituzione di Matteo Renzi e Maria Elena Boschi. Presidenti ed ex presidenti, ministri ed ex ministri fanno a gara nel rilasciare interviste e commenti in cui – a seconda dei casi – sostengono le ragioni del Sì o del No in vista del referendum confermativo d’ottobre.
All’appello manca, però, la presa di posizione di un nome che in una partita come questa – in cui ha avuto un ruolo agli inizi il Patto del Nazareno – ha un valore particolare: maestro di mediazioni e di relazioni, uomo trasversale per antonomasia ma anche e soprattutto storico braccio destro di Silvio Berlusconi. Si tratta di Gianni Letta, per anni sottosegretario alla presidenza del Consiglio nei governi Berlusconi.
Le domande fondamentali in fondo sono due: cosa pensa davvero Letta della riforma costituzionale? Sta lavorando per far vincere il Sì oppure per affondarla? In teoria non dovrebbero esserci dubbi: l’ex direttore del Tempo sarà pure l’uomo del dialogo – forse il più grande di tutti in questa specialità – ma è pur sempre il più fidato e ascoltato consigliere del Cavaliere, che è arrivato a definirlo “un dono di Dio all’Italia“, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio in tutti i governi guidati dal leader di Forza Italia (qui il suo ritratto fatto dall’Ansa in occasione del suo ottantesimo compleanno).
Ufficialmente Berlusconi è ormai in trincea contro la riforma. “Se passa il referendum, sarà regime“, ha commentato ad esempio qualche giorno fa. Un no secco dal quale verrebbe quasi automatico trarre l’idea che pure Letta sia contro la nuova Costituzione. Ed invece non è assolutamente detto che sia così.
Per rendersene conto bastava essere presenti ieri all’Ara Pacis di Roma dove si è svolto un dibattito sul futuro costituzionale dell’Italia – moderato dall’editorialista di Repubblica Stefano Folli – cui hanno partecipato come relatori l’ex giudice costituzionale Sabino Cassese, il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini e soprattutto il ministro per le Riforme costituzionali Maria Elena Boschi. In platea tra gli altri anche l’ex capo dello Stato Giorgio Napolitano. Dunque, un parterre formato da personalità – per un motivo o per un altro – completamente favorevoli alla riforma della Costituzione, in un convegno organizzato dall’Associazione Civita per ricordare Antonio Maccanico e riflettere sulla sua “eredità costituzionale”.
Ad aprire la discussione il figlio Nicola, seguito poi da Letta, intervenuto in qualità di presidente di Civita con un appassionato elogio della vita e della carriera istituzionale di Maccanico, fin dalle sue origini ad Avellino definita “l’Atene del Sud“. Nel suo discorso – che ha inevitabilmente toccato l’attualità – ad emergere è soprattutto che cosa Letta non ha detto. Nessuna critica neppure velata alla riforma della Costituzione, nessuna frecciatina, nessun appunto. Addirittura più conciliante di chi si professa strenuo sostenitore della riforma come Cassese che, nel corso del dibattito, qualche elemento migliorabile pure lo ha individuato.
Letta ha ripercorso il “cursus honorum” di Maccanico: “Tutta la sua vita è stata al servizio della Repubblica. Le espressioni che meglio lo raccontano sono quella francese ‘grand commis d’Etat’ e quella inglese ‘civil servant’, per descrivere il suo assoluto senso dello Stato e culto delle istituzioni“. Ha ricordato il ruolo di ministro per le Riforme istituzionali che Maccanico ricoprì nell’esecutivo di Ciriaco De Mita e nel sesto di Giulio Andreotti e l’incarico ricevuto da Oscar Luigi Scalfaro nel 1996 per formare un governo, in quello “che però è rimasto solamente un tentativo“. Poi ancora le riforme istituzionali nei governi di Massimo D’Alema e Giuliano Amato. Letta ha quindi ha citato un’intervista pro riforma della Costituzione che Maccanico rilasciò nel 2007 a Fabio Tivelli per il libro “Chi è Stato? Gli uomini che fanno funzionare l’Italia“. Infine ha concluso: “Parlare del futuro costituzionale dell’Italia è il modo migliore per ricordare Maccanico“. Non proprio il discorso di un oppositore della riforma.