Skip to main content

Vantaggi e rischi della svolta moderata dei 5 Stelle anche sull’Europa. Parla il prof. Giannuli

ballottaggi, Aldo Giannuli (professore Storia contemporanea Università Milano)

Credo che Beppe quando ha scritto quel pezzo si attendesse la vittoria del Remain. Detto francamente, temo che questo risultato ora lo metta in imbarazzo”. Profondo conoscitore del M5S e amico di Gianroberto Casaleggio, Aldo Giannuli insegna Storia contemporanea all’Università di Milano. In questa conversazione con Formiche.net commenta le conseguenze del referendum in Gran Bretagna e la svolta pro-Europa impressa da Beppe Grillo al movimento con il post pubblicato ieri sul suo blog.

Professore, cosa pensa della posizione di Grillo pro Europa?

Secondo me avrebbe potuto essere un po’ più prudente: sarebbe stato meglio aspettare, ragionare meglio sull’esito del voto ed intervenire in modo meno drastico. Così rischia di essere una doccia gelata.

A quali pericoli teme che il M5S si esponga?

In questa fase il movimento sta cercando di accreditarsi a tutti i livelli come una forza politica rassicurante, pienamente in grado di governare. I segnali che sta inviando vanno tutti nella direzione di tranquillizzare gli interlocutori sulla sua natura non antisistema. Deve ricordarsi però un elemento fondamentale: la maggior parte degli italiani che lo sta premiando alle urne lo fa perché ritiene il movimento alternativo al sistema dominante. La sfida principale che ha di fronte è dunque questa: riuscire ad essere percepito, allo stesso tempo, come una forza di rottura e come una forza di governo.

Cosa deve evitare di fare quindi?

Si parva licet” mi viene in mente la parabola vissuta dal Pci tra gli anni ‘70 e ‘80. In grande espansione fino all’exploit del 1976 quando raggiunse il suo massimo storico di voti. Poi invece – dopo l’abbandono di alcune delle sue posizioni più alternative al sistema e soprattutto dopo l’entrata in maggioranza – ci fu una rapida e costante perdita di consensi fino al suo scioglimento.

Cosa dovrebbe insegnare quell’esperienza ai pentastellati?

E’ una vicenda storico-politica di cui il M5S dovrebbe tenere conto: oggi ci vuole poco per far cambiare radicalmente opinione a fette anche molto ampie dell’elettorato. Ho l’impressione che sia poco cauto questo spron battuto per dimostrare che si tratta ormai di una forza di governo. Mi lascia un po’ perplesso.

Qualche consiglio da dare al movimento per evitare che incappi in questo errore?

Il problema è trovare un punto di equilibrio tra la necessità di non deludere i suoi elettori – che mantengono una certa radicalità – e quella di non spaventare tutti gli altri. Un’operazione che certo non può considerarsi semplice.

Qualcosa del genere sta già accadendo? Le dichiarazioni di oggi di alcuni esponenti di punta del M5S come Alessandro Di Battista sono apparse molto meno favorevoli all’Europa di quelle di Grillo di ieri.

Sì, ho letto, mi pare che si tratti del naturale tentativo di guadagnare terreno dopo la vittoria della Brexit. In queste ore Matteo Salvini sta cavalcando i risultati e cercando di incassare un dividendo politico nazionale dal successo del Leave. E’ normale che il M5S – su questi temi percepito come di rottura rispetto agli assetti esistenti – non possa lasciargli carta bianca.

Ma alla fine il post di ieri di Grillo non conferma una svolta moderata dei cinquestelle anche in politica estera?

La svolta moderata c’è stata ma in fondo la posizione del movimento su questi temi rimane coerente: i pentastellati non sono mai stati contro l’Unione Europea ma contro la moneta unica. Certo la sortita di Grillo è stata inedita per nettezza e – come dicevamo – per questa ragione anche un po’ intempestiva. E poi si pone una domanda fondamentale: come si fa ad abbandonare l’euro e a restare contemporaneamente nell’Europa unita?

Il M5S è ancora una forza politica antieuro?

Non è mai stato un movimento nazionalista come la Lega di Salvini o il Front National di Marine Le Pen in Francia. Ha però sempre avuto una posizione di chiarissima avversione nei confronti della moneta unica.

Si tratta di una posizione tutt’ora attuale o è stata in qualche modo superata?

Onestamente non se ne sta parlando parecchio. Casaleggio sul punto era perentorio: basta rileggere i suoi interventi per rendersi conto quanto fosse contrario all’euro. Luigi Di Maio invece mi pare meno netto. Ad aprile aprì alla possibilità di creare una moneta unica a due velocità, con l’euro debole per i Paesi del Mediterraneo e l’euro forte per gli altri. Un segnale di attenuazione della posizione del M5S sul tema, confermato qualche settimana dopo anche nel suo viaggio in Inghilterra. Che tutto questo sia stato sottoposto a una consultazione degli iscritti, comunque, non mi pare.

Pensa che il gruppo dirigente stia diventando sempre più autonomo rispetto alle regole dello stesso movimento?

Questo sembrerebbe, io però sarei molto prudente. Al movimento – al quale voglio molto bene – dico: attenzione che a prendere scivolate non ci vuole molto.

Ritiene che adesso – alla luce della presa di posizione di Grillo e della Brexit – si romperà l’alleanza con Nigel Farage, il grande vincitore del referendum in Gran Bretagna?

Bisogna tenere conto che quell’alleanza nacque per creare un gruppo in Parlamento europeo che altrimenti – sia il M5S, sia lo Ukip – non avrebbero avuto la rilevanza numerica per costituire autonomamente. C’è poi l’altro tema di cui abbiamo parlato in precedenza: d’accordo presentarsi come una forza rassicurante ma non al punto di annacquare completamente le posizioni più di rottura che ne hanno caratterizzato il percorso fin qui.

Ma l’esito del voto di ieri l’ha sorpresa?

Per la verità fino a un certo punto: l’Inghilterra è sempre stata con un piede dentro e un piede fuori dall’Europa. Ha sempre fatto parte contemporaneamente anche di altri sistemi internazionali, di altre sinapsi, come ad esempio il Commonwealth. Non a caso Winston Churchill oltre mezzo secolo fa disse: “Guardate che tutte le volte in cui potremo scegliere tra l’Europa e il mare aperto, sceglieremo il mare aperto“. Gli Stati nazionali non sono soltanto identità culturali scomponibili a piacere ma sono anche campi di interessi organizzati. Quanto successo con la Brexit ha una sua spiegazione precisa: l’Europa non è riuscita a rappresentare per gli inglesi un campo di interesse alternativo più apettibile di quello loro tradizionale. E così il mare aperto ha finito con il prevalere.



×

Iscriviti alla newsletter