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Legge sui partiti, perché il Pd ha frenato sulla norma anti M5s

Matteo Renzi

E’ stato il frutto di una lunga mediazione tra Pd e Movimento Cinque Stelle. Parliamo della legge sui partiti, passata mercoledì in prima istanza alla Camera e ora in viaggio verso il Senato. Il provvedimento si pone l’obbiettivo si rendere più democratica la vita interna di partiti e movimenti politici, introduce meccanismi per garantire la trasparenza sia economica che strutturale e mette dei paletti alle singole azioni all’interno di questi organismi, come, ad esempio, le espulsioni. Quest’ultimo provvedimento è stato ribattezzato norma “salva-Pizzarotti”.

La legge nelle sue fasi iniziali era stata vista dal Pd come un’opportunità di mettere i bastoni tra le ruote al Movimento di Beppe Grillo. I deputati dem si sono resi conto che bastava inserire qualche norma per mettere fuori legge i Cinque Stelle, per esempio l’obbligo a dotarsi di uno statuto. Senza non si può partecipare alle elezioni. Ma poi, anche per l’opposizione estenuante messa in campo dai grillini in commissione, tutti sono scesi a più miti consigli e si è preferito il dialogo rispetto allo scontro. Raccontano sia stato lo stesso Matteo Renzi a ordinare ai suoi deputati di non andare al muro contro muro con i Cinque Stelle. “Il premier non voleva che ci fosse il sospetto che intendevamo far fuori i grillini per legge, perché per il Pd sarebbe stato un boomerang. E’ nelle urne che dobbiamo sconfiggerli, non attraverso cavilli legislativi”, racconta un deputato dem che si è occupato della faccenda.

Così è iniziato un dialogo che alla fine ha portato a un compromesso che ha avuto il merito di condurre in porto la legge, ottenendo non più il voto contrario, ma l’astensione dei grillini. Ma vediamo i punti salienti del provvedimento, che ora passa al Senato dove potrebbe subire delle modifiche, rendendo necessario un ulteriore passaggio a Montecitorio.

Innanzitutto, i partiti dovranno avere uno statuto, ma anche chi non ce l’ha può essere ammesso alle elezioni a patto che faccia “una dichiarazione minima di trasparenza” in cui deve indicare il titolare del simbolo, la sede legale, gli organi e relative attribuzioni e la modalità di selezione dei candidati. E’ questo il cuore della riforma che attua l’articolo 49 della Costituzione. La legge mira a “promuovere la trasparenza dell’attività dei partiti e movimenti” e “rafforzare i loro requisiti di democraticità” per “favorire la più ampia partecipazione dei cittadini alla vita politica”. Per quanto riguarda lo statuto, esso deve seguire tutta una serie di criteri e chi se ne dota avrà agevolazioni fiscali come l’accesso al 2 per mille. Per quei partiti che non si doteranno di uno statuto, come l’M5S, varranno le regole del codice civile sulle associazioni non riconosciute. Da qui consegue che un iscritto al partito può essere espulso solo dalla deliberazione di un apposito organismo con votazione a maggioranza. Con questa norma tutti gli espulsi dal movimento di Beppe Grillo si sarebbero salvati. E si salverebbe anche Pizzarotti nel caso in cui Grillo lo buttasse fuori.

Tutti i partiti e i movimenti, inoltre, dovranno inserire nei loro siti internet statuto e bilanci. Ed eccoci dunque ai soldi, tasto importantissimo: tutti i finanziamenti a un partito dovranno essere tracciabili. Quelli tra 5 mila e 15 mila euro potranno essere resi noti solo col consenso del donatore; oltre i 15 mila il consenso non serve e comunque il tetto per ogni donatore è di 100 mila euro. Non proprio il massimo della trasparenza, ma tant’è. Infine, un partito o movimento può essere collegato a fondazioni o associazioni a patto che il rapporto avvenga all’insegna della massima trasparenza, autonomia finanziaria e separazione contabile. Non ci sono però vincoli o tetti ai finanziamenti alle fondazioni da parte dei privati, come chiedevano i grillini. E in questi anni abbiamo visto come spesso le fondazioni, proprio perché completamente deregolate, siano state uno strumento occulto di finanziamento dei partiti.

Insomma, potremmo definirla una riforma a metà: da un lato mette dei paletti e agevola la trasparenza e democraticità interna delle forze politiche; dall’altro lascia delle sacche di autonomia che avrebbero potuto essere eliminate. “E’ una legge attesa da 70 anni”, esulta il piddino Emanuele Fiano. “D’ora in poi non potranno più esserci espulsioni con una mail anonima”, aggiunge il capogruppo Ettore Rosato. “Forza Italia si astiene, la legge deve essere migliorata in Senato”, osserva invece l’azzurro Paolo Sisto. Mentre per Sinistra Italiana la norma “è un compromesso al ribasso dettato dall’inciucio tra Pd e M5S”. I grillini, da parte loro, stanno in silenzio e incassano una riforma che non li danneggia.


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