Per iniziare, due premesse. La prima: conoscendo fin troppo bene i miei polli, tra poco alle categorie di renziano della prima, seconda, ennesima ora, si aggiungerà quella dei renziani pentiti, e, peggio, persino di quelli che diranno di non esserlo mai stati; renziani fraintesi, si potrebbe dire. Da parte mia, mi continuo invece a ritrovare comodamente nella definizione di ultrarenziano, attribuitami proprio da Formiche.net (sia pure “saggio”, come scrive di me talvolta un altro commentatore).
La seconda: interpretare dati elettorali in modo oggettivo, e non strumentale, è sempre esercizio complicato; nel caso di elezioni amministrative lo è ancora di più, per il peso che le dinamiche locali hanno nel determinare il risultato: sarebbe facile qui addurre l’esempio di Roma, ma preferisco parlare di Napoli, città dei miei studi universitari, dove già cinque anni fa – quando Renzi faceva il Sindaco a Firenze – non andammo neppure al ballottaggio, sicché mi pare complicato addossargli oggi responsabilità per il deludente, e prevedibile, esito.
Tanto premesso, che si sia trattato di una sconfitta per il PD, e che il Movimento cinquestelle abbia prevalso nei ballottaggi, riportando una “vittoria netta ed indiscutibile”, lo ha detto, con onestà intellettuale e lucidità lo stesso Premier; cosí come ha detto che i grillini “hanno interpretato meglio l’ansia di cambiamento”.
Ed é da qui, indubitabilmente, che bisogna partire.
Per questo mi appaiono stucchevoli le polemiche, tutte politicistiche, della sinistra dem: qualcuno crede davvero che il problema di questo turno di votazioni sia stato il doppio ruolo di Presidente del Consiglio e Segretario, elemento costitutivo, come si sa, del PD? O che sia stato il peso della segreteria che, tra l’altro, lo stesso Matteo ha già annunciato di voler cambiare, nel corso dell’ultima Direzione Nazionale? Piuttosto, si potrebbe ribaltare il ragionamento, e sostenere che uno degli handicap é stato certamente la continua, costante, estenuante, autolesionista litigiosità interna: una delle persone da cui ho imparato a fare politica diceva, con suggestiva immagine, che è stolto per un passeggero dare continui schiaffi al conducente del pullman (leggasi segretario del partito).
Per converso, nessuno potrebbe negare che, come in ogni midterm election, un ruolo non secondario lo abbia avuto la condizione economica generale del Paese: i cittadini soffrono, nonostante i buoni risultati che si iniziano ad avere, attestati dagli indicatori macroeconomici, ma ancora non evidenti nella vita quotidiana delle famiglie. Conseguentemente, come avviene in ogni elezione democratica, di tale situazione fa le spese chi governa. Matematico, non ovviamente autoassolutorio.
A mio parere, però, si potrà e si dovrà discutere all’infinito su alleanze, vocazione maggioritaria, Italicum, ma il cuore del problema rimane nelle parole di Matteo: “Hanno interpretato meglio l’ansia di cambiamento”. Perché una cosa è certa: non c’è stato Governo, in Italia, che abbia prodotto tante novità sostanziali in poco tempo. Abbiamo fatto riforme importantissime, Jobs act – che ha dato frutti positivi, e contestato, anche nel PD, solo per pregiudizi ideologici – RAI, pubblica amministrazione, unioni civili, reati ambientali, omicidio stradale, legge sul dopo di noi, e potrei continuare a lungo, e, soprattutto, abbiamo finalmente approvato la riforma delle riforme, quella della Costituzione, riuscendo laddove tutti hanno fallito.
Avremmo dunque tutte le carte in regola per dire di essere noi, il PD, questo Governo, e dunque Matteo Renzi, il Cambiamento: eppure non siamo ancora riusciti a farcelo riconoscere. E poiché, come è stato detto, è importante avere ragione, ma lo è altrettanto trovare chi te la dia, io partirei, per capire cosa fare, esattamente da questo interrogativo: perché molti italiani non hanno percepito che stiamo innovando fortemente il Paese? Perché, mentre noi lo cambiamo con i fatti, hanno più appeal elettorale quelli che promettono di farlo a parole? Ecco: discutiamo di questo, se siamo davvero interessati al bene non solo del conducente, e neppure solo dei passeggeri, ma dell’intero pullman.