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Ecco perché Eni non ha mollato Versalis al fondo Sk Capital

Gli americani volevo rottamare gli attuali vertici di Versalis e concedere ben poca voce in capitolo all’azionista di minoranza dopo l’operazione di acquisizione. Sono stati questi in sostanza, secondo la ricostruzione di Formiche.net, i veri motivi per cui la vendita del controllo della società Versalis dell’Eni attiva nella chimica al fondo Usa, Sk Capital, è saltata.

NOTIZIE E SCENARI

Soddisfatti i sindacati che avevano espresso dubbi sulla solidità finanziaria del fondo e sulle prospettive industriali degli impianti italiani di Versalis. Ma l’operazione accantonata indurrà anche i vertici del gruppo Eni capeggiato dall’amministratore delegato Claudio Descalzi a rivedere i piani, visti gli introiti stimati dalla dismissione che mancheranno all’appello e agli investimenti che operai e sindacati ora si attendono. Mentre all’orizzonte non si intravvede alcun potenziale acquirente italiano, nonostante gli auspici e le aspettative dei sindacati. Così in ambienti politici si rinfocolano le aspettative su un ruolo della Cassa depositi e prestiti presieduta da Claudio Costamagna e guidato dall’amministratore delegato Fabio Gallia.

LA SOCIETA’ IN VENDITA

Dopo mesi di negoziati, accompagnati dalla protesta dei lavoratori, Eni e il fondo statunitense Sk Capital hanno posto fine alla trattativa per la cessione di una quota di maggioranza di Versalis, la società della chimica che impiega 4.300 addetti in Italia e circa altri mille all’estero: stabilimenti a Marghera, Mantova, Ferrara, Ravenna, Brindisi, Porto Torres, Sarroch (Cagliari) e Priolo. Eni, che avrebbe mantenuto il 30%, e il fondo Usa hanno «constatato l’impossibilità di trovare un accordo su alcuni punti negoziali — spiega una nota — tra cui, in particolare, la futura governance della società». L’effetto dell’annuncio è il seguente: Versalis tornerà a essere integralmente consolidata nei conti di Eni a partire dalla semestrale di fine luglio.

PIANI DA RIVEDERE

Come detto, la dismissione della società rientrava nel piano dell’amministratore delegato Descalzi di concentrarsi sul core business per resistere in uno scenario internazionale caratterizzato dal mini petrolio. Il capo azienda aveva annunciato in occasione della strategy a marzo un piano di nuove dismissioni per 7 miliardi, tra cui Versalis entro l’anno, per un totale in 4 anni di 14 miliardi. In più aveva annunciato investimenti per 37 miliardi, con un taglio del 21%. Uno dei nodi della permanenza di Versalis nella galassia Eni, riguardava (e riguarda) proprio gli investimenti. La società dal 2000 ha bruciato cassa per 5,8 miliardi e ha bisogno di 1,2 miliardi per passare alla chimica verde.

I PALETTI DEL CANE A SEI ZAMPE

Per la cessione della società, Descalzi aveva posto fin dall’inizio cinque condizioni ribadite anche agli inizi di giugno: “Chi compra — aveva spiegato in diverse occasione anche nel corso di audizioni parlamentari – si deve impegnare a mantenere gli attuali stabilimenti per almeno 5 anni, ampliandone casomai il perimetro, e per 3 anni l’attuale personale, anche in questo caso eventualmente ampliandolo”. Sugli investimenti aveva chiarito che «devono essere di 1,2 miliardi in tutte le attività della chimica, compresa la chimica verde» e che «Versalis deve restare italiana e il vertice dovrà essere quello che è oggi».

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