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Come e perché il centrodestra si è liquefatto

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Il centrodestra non esiste più. E’ evaporato. Non in una sola giornata, naturalmente. C’è voluto del tempo, come dimostrano i grafici che illustrano la decadenza della coalizione dal 2013 ad oggi, ma l’esito dell'”allegro naufragio” (come mi permisi di definirlo nel titolo di un mio libro invecchiato troppo presto) era scritto. Chi immaginava di lucrare eternamente su una rendita di posizione s’infastidiva quando gli si faceva notare che la stagione del berlusconismo era al tramonto. E reagiva scompostamente oppure con arrogante indifferenza. Adesso gli stessi “ottimisti”, incapaci di guardare in faccia alla realtà, sembra che non abbiano neppure più voglia di raccogliere i cocci. Frastornati si aggirano tra le rovine ed inciampano nelle polverose idiosincrasie delle quali si sono nutriti per anni. Non un accenno di autocritica, neppure dopo il disastroso risultato del primo turno delle amministrative. Il massimo che qualcuno riesce ad esprimere è l’auspicio di un repentino sfratto di Renzi da Palazzo Chigi. Come se vittima del disastro elettorale fosse soltanto il Pd. Ecco: il vecchio vizio di guardare in casa altrui e fingere di ignorare la consunzione della “monarchia anarchica” provocata dalle scelte scriteriate e dalle fratricide lotte nel centrodestra si ripropone anche in quest’ultima occasione. Sarà l’ultima.

In effetti immaginare un caos organizzato con tanta meticolosità sarà difficile a chiunque in quello che una volta veniva chiamato, errando, il “mondo dei moderati”. Sia chiaro, il centrodestra – spappolato, contraddittorio, litigioso, in parte con Renzi, in parte con Salvini, in parte con Berlusconi ed in parte a casa – come opinione pubblica diffusa esiste ed è tutt’altro che moderatamente “incazzato”. Ma dal punto di vista politico, è fatica sprecata volerlo cercare. Sta al governo ed all’opposizione; vivacchia tra gruppetti nomadi e velleitari rivoluzionari; è un po’ centrista ben sapendo che il Centro non c’è più; è un po’ di Destra consapevole che questa si è dissolta. A Milano stanno tutti insieme appassionatamente e non vincono; a Roma altrettanto appassionatamente marciano divisi odiandosi e perdono di brutto; a Torino sono irrilevanti, come a Napoli dove non hanno tratto giovamento dalla dura lezione di cinque anni fa regalando nuovamente la città a De Magistris la cui amministrazione è stata a dir poco travagliata.

Ci si vuole consolare con le poche decine di migliaia di voti che hanno racimolato candidati sindaci del centrodestra in alcune città di provincia? Onore al merito, ma il dato non cambia: il centrodestra si è liquefatto per il semplice motivo che non ha saputo darsi una struttura coalizionale, fondata su un progetto condiviso, capace di competere. Il disfacimento poi di Forza Italia ha finito per indurre il suo elettorato a disertare le urne o a scegliere il M5S. Lo stesso è accaduto a Destra, dove vecchie ruggini ed egoismi difficilmente giustificabili hanno condizionato la nascita di un soggetto unitario che sulla carta vale forse intorno al 10%. E’ triste constatare che nei consigli comunali di Milano, Torino, Napoli non ci sarà neppure un rappresentante della Destra, mentre la Lega nel capoluogo lombardo mai era stata così sottodimensionata.

In vista delle politiche del 2018 se qualcuno immagina che questo centrodestra fantasma possa concorrere, nelle condizioni in cui si trova (che peggioreranno nelle settimane a venire quando vendette e regolamenti di conti consumeranno quel poco che ancora c’è da consumare) per qualche seggio parlamentare è da ricovero immediato. La nuova legge elettorale è roba per il M5S e per il Pd. Anzi più per il prima che per il secondo. Renzi stesso si renderà conto di aver messo nelle mani dei Pentastellati un’arma formidabile chiamata Italicum. E se ne pentirà amaramente. Per quante rottamazioni il leader potrà ancora fare, anche il Pd, come il centrodestra, vive un malinconico tramonto. La crisi del sistema politico è evidente. Il modello rappresentativo è contestato dal rifiuto del voto. I nuovi sindaci sono stati eletti da una minoranza. In discussione è la democrazia in Italia. Ci vorrebbe un Tocqueville per spiegarci come superare l’impasse. Ma in circolazione non si vede neppure la sua ombra.



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