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Tutti gli effetti del voto su Matteo Renzi. Parla Peppino Caldarola

La gestione del dopo voto sarà per Matteo Renzi molto ma molto difficile“. La previsione è di Peppino Caldarola, giornalista, editorialista, già direttore de L’Unità, con un passato in politica nel Pci e poi da deputato con i Ds. In questa conversazione con Formiche.net Caldarola – fortemente critico nei confronti di Renzi ma sostenitore della candidatura romana di Roberto Giachetti -spiega che cosa ha determinato i risultati di ieri e che tipo di ripercussioni potrebbero esserci, soprattutto per il Partito Democratico e il governo.

Caldarola, cosa hanno detto le urne?

Direi che devono essere sottolineati due aspetti in particolare. Partiamo dal M5S: dove ha presentato candidature a cui teneva – a Roma e a Torino – ha ottenuto risultati ottimi, nella capitale direi travolgenti. Al contrario, il Partito Democratico ha fatto registrare un pessimo risultato dappertutto: lo ha avuto a Roma – ed in parte era scontato – ma lo ha avuto anche a Milano, perché nessuno immaginava che Stefano Parisi avrebbe praticamente raggiunto Beppe Sala.  Il Pd inoltre sente la pressione della candidata pentastellata a Torino.  E poi c’è anche il risultato di Virginio Merola a Bologna che è al di sotto delle aspettative. Di Napoli non parlo perché là la tragedia si era già consumata quando era stato liquidato con strategie poco raccomandabili il candidato alle primarie Antonio Bassolino: non so se avrebbe vinto ma certamente sarebbe stato più in gara di Valeria Valente.

A suo modo di vedere questi risultati avranno ricadute sul governo?

Nell’immediatezza non credo. Se il ballottaggio si tradurrà solo nella sconfitta romana, si potranno considerare elezioni dall’esito annunciato. Se invece si dovessero aggiungere Milano o Torino – o entrambe queste città – il risultato sarebbe totalmente negativo. In ogni caso ciò non porterà a una crisi di governo ma ad una doppia difficoltà. La prima sarà tra Renzi e le minoranze parlamentari che gli potranno dire: “Il Paese non è con te“. La peggiore delle difficolterà arriverà, però, dalle minoranze interne, che gli potranno imputare l’allontamento dal partito di un pezzo di mondo della sinistra e che lo spingeranno a cambiare linea. Non è che Renzi dia molto peso a questi aspetti: il suo carattere non prevede né la ragionevolezza né l’arrendevolezza ma i dati storici sono questi.

A tal proposito, nel commentare il voto con Formiche.net Fabrizio Cicchitto ha avvertito Renzi sull’importanza di tenere buoni rapporti con gli alleati sia interni che esterni al Pd. Il “logoramento” è già iniziato?

Io e Cicchito veniamo da storie diverse ma che sono state per un tratto vicine, lui socialista del Psi e io comunista togliattiano. In entrambe queste scuole politiche il tema fondamentale è che non si vinceva da soli bensì in compagnia. E anche quando non si vinceva in compagnia, si facevano i governi in compagnia. La strategia di Renzi invece è uno contro tutti ma può valere solo la prima volta che la partita si gioca mentre dopo non vale più. In questo modo, l’elettorato si stufa e finisce con il consumare rapidamente le leadership. E dopo quella di Renzi, c’è al leadership pentastellata.

Nel 2000 Massimo D’Alema – che lei conosce bene – perse le elezioni regionali e si dimise da presidente del Consiglio. Perchè questa volta è diverso?

La risposta è lapidaria: perché la classe non è acqua. C’è chi ce l’ha e chi non ce l’ha.

Quindi a suo modo di vedere Renzi dovrebbe dimettersi ma non lo farà?

Non è dovuto, come non lo era neppure per D’Alema, che decise di dimettersi soprattutto per aver pronunciato una frase di previsione elettorale suggeritagli da sondaggi sbagliati. D’Alema – che aveva un certo senso delle istituzioni – la considerò nociva per il suo ruolo di premier e fece un passo indietro. Io non suggerisco a Renzi di fare la stessa cosa ma almeno di non rispondere in modo arrogante o, come stanno facendo i suoi uomini e le sue donne, con frasi come “ottimo risultato a Roma” o “in fondo il Pd ha tenuto“. Sono tutte stupidaggini.

A tal riguardo, Debora Serracchiani ha definito il risultato di Roberto Giachetti un miracolo ma dieci punti abbondanti di distanza dalla favorita Raggi in pochi se li aspettavano. Che ne pensa?

Guardi il vero miracolo è che Serracchiani sia nel gruppo dirigente di un partito politico importante. Battute a parte, il Pd deve gratitudine a Giachetti: nella condizione in cui si trovava il partito, il vicepresidente della Camera gli ha dato comunque un volto credibile. Bisogna anche riconoscere che a Roma Giorgia Meloni ha fatto una gran bella gara, tra l’altro fatta in totale solitudine. Da suo avversario devo dire che questa giovane donna è stata molto coraggiosa e vivace, con un risultato che per la sua parte politica è molto importante. La destra a Roma oggi è Giorgia Meloni.

A proposito di Roma, come se lo spiega il risultato negativo di Alfio Marchini?

A Marchini non è andata bene perché ci troviamo all’interno di un fenomeno mondiale che chiude con l’idea del trasversalismo. Bisogna certamente avere la capacità di dialogare con elettori diversi dai propri ma un candidato che si presenta dicendo “io non sono nè di questa parte nè di quell’altra parte” non ce la fa. In questo caso poi la memoria romana ricorda che la sua storia familiare è tutta di sinistra e comunista: anche la sua personale visto che Marchini è stato editore de L’Unità. Capisco che un elettore di destra abbia avuto difficoltà nel votarlo.

Qual è la differenza con Stefano Parisi a Milano che ha invece ottenuto un risultato molto positivo?

A Milano Berlusconi ha preso un candidato moderato, con una storia personale e professionale importante, che ha allargato al massimo la sua coalizione, la quale ha avuto un chiaro profilo di centrodestra. Se Parisi avesse detto “non sono né di destra né di sinistra“, avrebbe fatto la stessa fine di Marchini.

Come si deve interpretare la performance milanese di Beppe Sala che al ballottagio rischia seriamente di perdere contro Parisi?

A Milano a mio avviso ci sono un dato politico e un dato psicologico. Innanzitutto c’è un pezzo di centrosinistra che non ha vissuto Sala come un candidato proveniente dalla propria area politica. Il dato psicologico credo riguardi la persona di Sala: si tratta indubbiamente di un manager di livello, però Parisi ha un quid personale che Sala non ha. Basta vederli in televisione: Parisi ha la battuta, scherza, è autoironico. Tutto ciò gioca a suo favore perchè l’elemento personale è ormai diventato fondamentale in tutte le elezioni. Il candidato più simpatico ha più chance di vincere e Parisi indubbiamente lo è.

Tornando al Pd, cosa consiglia di fare a questo punto alla minoranza dem?

Penso che non dovrebbe alzare le barricate visto che il partito è già molto traumatizzato. Ha invece il dovere di fare un’operazione di altro genere: proporre una piattaforma alternativa a quella di Renzi, con un candidato credibile e competitivo e puntare le carte sul congresso chiedendo che il presidente del Consiglio mantenga la promessa di anticiparlo.

Ma quale potrebbe essere questo leader alternativo? Si osserva spesso che il vero problema della minoranza dem sia l’assenza di una leadership in grado di competere con Renzi.

Personalmente credo sia giusto giocare alcune carte sul governatore della Toscana Enrico Rossi. Ha alcune caratteristiche che possono andar bene: è un riformista concreto come emerge dalla sua esperienza di lavoro ed è un uomo che parla al mondo della sinistra ma non è un radicale. Soprattutto, ha una caratteristica che Renzi è lontano dal possedere di cui il Paese oggi ha assoluto bisogno: è un uomo mite.

In che senso?

Il Paese si sta stufando di quelli che giocano a fare la guerra sulla pelle degli italiani. Sono invece convinto che investirebbe volentieri su leader sereni. Ecco il tratto che un democristiano come Renzi non ha preso dalla grande storia del suo partito: la Democrazia Cristiana dava serenità. I presidenti e i segretari democristiani non si ponevano il problema di traumatizzare gli elettori, gli facevano fare anche cose complicate, li portavano da un parte all’altra ma davano sempre serenità con una navigazione tranquilla. Penso che Rossi abbia questa caratteristica.

Concludendo, il voto di ieri segna una svolta nella storia del Movimento Cinque Stelle?

La mia previsione è questa: il referendum costituzionale lo vince Renzi, mentre le prossime elezioni politiche – se il premier non cambia radicalmente registro – le possono vincere o il centrodestra o i cinquestelle. Con i risultati di ieri i grillini segnano un bel punto anche se da qui ad un anno avranno un potenziale problema. Si tratta della valutazione del lavoro di Virginia Raggi: se si rivelerà una specie di Ignazio Marino, inevitabilmente danneggerà moltissimo annche il suo movimento.



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