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Vi spiego perché Renzi rimarrà premier e segretario del Pd. Parla il prof. renziano Ceccanti

I risultati non esaltanti dei ballottaggi, i rapporti tra Matteo Renzi e la minoranza Pd, la fondamentale sfida del referendum costituzionale e il dibattito sull’eventuale modifica dell’Italicum. Sono questi i principali temi che Formiche.net affronta in questa conversazione con Stefano Ceccanti, ex senatore del Partito Democratico, ordinario di Diritto pubblico comparato all’università La Sapienza di Roma e “padre” della riforma della Costituzione su cui ad ottobre saranno chiamati ad esprimersi i cittadini.

Professore, questo voto avrà riflessi di carattere nazionale sul governo oppure no?

Come sempre succede, le cose sono collegate: le elezioni amministrative di metà mandato portano inevitabilmente con sé motivazioni di sfiducia verso i governi nazionali. Detto questo escludo però che ci saranno conseguenze sulla tenuta dell’esecutivo. Da nessuna parte i governi cadono perché vanno male le elezioni amministrative.

Il commento di Matteo Renzi e della segreteria Pd al voto è stato netto. Ha fatto bene il premier ad essere così perentorio?

I risultati hanno indiscutibilmente un significativo complessivo di critica al Pd e al governo. Ovviamente le risposte possono essere diverse a seconda dell’analisi che si fa. Immagino che il presidente del Consiglio voglia ricercare ora una connessione di messaggi simile a quella che si era avuta in occasione delle europee del 2014 nel senso dell’innovazione. In quest’ottica la sconfitta più problematica è quella di Torino: al di là del fatto che si tratta di una città ben amministrata, c’è stato un voto contro il centrosinistra che nel capoluogo piemontese governa ininterrottamente dal 1993. Si è manifestata, dunque, una domanda di forte discontinuità da parte dell’elettorato.

Quanto rischia di pesare questo risultato negativo del Pd in vista del referendum confermativo d’ottobre sulla riforma costituzionale?

Quasi paradossalmente in questo contesto la prossima scadenza chiave del referendum risulta più agevole. In questo caso la posizione della maggioranza di governo è quella di chi ha fatto la riforma e non di chi la vuole bloccare. Il significato profondo del referendum – il suo messaggio principale – è rappresentato proprio dal cambiamento, dalla discontinuità con il passato che si vuole sancire. Un terreno più congeniale a Renzi, in linea con la necessità di profondo rinnovamento di cui il premier si è fatto interprete e portavoce.

Ritiene quindi che Renzi in questa partita riuscirà a riappriopriarsi di quell’elemento di spinta all’innovazione che lo ha caratterizzato soprattutto agli inizi della sua esperienza governativa?

Certamente sì: gli elettori – che in queste elezioni hanno manifestato un evidente desiderio di cambiamento – al referendun confermativo difficilmente non saranno attratti verso il Sì alla riforma della Costituzione che mira proprio ad innovare il sistema politico-istituzionale italiano. Al referendum non si confrontano sinistra e destra ma il vecchio e il nuovo. L’innovazione e la conservazione.

Adesso sembra che Renzi voglia reagire a questo voto puntando ancora di più sulla rottamazione. E’ la cosa giusta da fare a suo modo di vedere oppure dovrebbe cercare di  rasserenare i rapporti con la sinistra Pd?

Le due cose non è che si escludano a vicenda. Il messaggio più forte di cambiamento può anche andare insieme ad un meccanismo di maggiore integrazione tra le varie componenti del partito. L’unica cosa che non si può fare è usare l’accordo interno di partito per fermare l’innovazione, per fare compromessi al ribasso. Significherebbe la morte.

Pensa si possa andare verso una soluzione che separi il ruolo di premier da quello di segretario?

Assolutamente no: sarebbe fatale per l’azione del governo e anche per un partito come il Pd. Vorrebbe dire costringere il presidente del Consiglio a mediare anche rispetto al proprio partito, con la conseguenza di ridurne drasticamente la capacità di innovazione. Questo è uno degli elementi chiave dell’identità del partito, non è una scelta tecnica.

Come recuperare allora i rapporti con la sinistra Dem che adesso quasi certamente alzerà la posta?

Penso che il problema riguardi il rapporto con la società e non con la minoranza interna del partito. Non credo sia il caso di rinchiudersi in un recinto interno o di fare intese di basso profilo. S tratta invece di coinvolgere tutti nella grande campagna per il Sì al referendum costituzionale visto che la riforma in Parlamento è stata votata da tutti.

In quest’ottica cosa pensa che farà il centrodestra in vista del referendum?

Penso che in realtà anche i cinquestelle dovrebbero rifletterci su. Secondo il combinato disposto della riforma costituzionale e della nuova legge elettorale, infatti, qualunque delle tre principali forze politiche del Paese può in astratto vincere le prossime elezioni politiche. Non si tratta di una riforma costruita “ad listam”, fatta a favore del solo Partito democratico. Contrariamente a quello che dicono alcuni in queste ore – per i quali Renzi dovrebbe ragionare in termini di parte e ritoccare l’Italicum perchè così rischia di perdere – io credo invece che non debba farlo: la nuova legge elettorale a priori non favorisce nessuno. Ciò ne rafforza e non ne indebolisce la validità.

Ma concretamente alla fine l’Italicum verrà riformato oppure rimarrà così com’è secondo lei?

Ritengo che non ci sarà alcun cambiamento da questo punto di vista.

Tornando al voto di ieri, come valuta l’affermazione di Beppe Sala a Milano? Una vittoria, la sua, molto importante in termini più generali anche per Renzi e il Pd.

Sala partiva oggetivamente avvantaggiato dall’Expo, una manifestazione che ha favorito moltissimo lo sviluppo della città. Da questo punto di vista viene polarizzata la distanza tra le due principali città al voto: Milano e Roma. Nel capoluogo lombardo – con un primo cittadino come Sala – sarannno incentivate ancora di più l’innovazione e la crescita mentre invece il programma della candidata che ha vinto a Roma pare ispirato alle teorie della decrescita.

Non trova però che i nuovi sindaci a cinquestelle – Virginia Raggi e Chiara Appendino – siano diversi dall’identikit tipico dei grillini pro-decrescita? Che siano insomma più moderati e meno estremisti?

Vedo una grande differenza tra la candidata di Roma e la candidata di Torino. Appendino mi pare molto consistente e francamente quella di Roma no. Lo abbiamo visto anche ieri sera: la prima ha parlato a braccio e non si è rifiutata di rispondere alle domande, la seconda si è presentata con un testo scritto e ha rifiutato le domande. Già questo indica uno spessore politico diverso.


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