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Cosa si nasconde a Roma dietro le polemiche su Olimpiadi e nuovo stadio

Il ballottaggio per l’elezione del sindaco di Roma sta facendo scaldare gli animi, con effetti non solo sulla carta stampata, ma anche su quella bollata.

Da un lato l’ingegnere Paolo Berdini, assessore all’urbanistica in pectore del M5S, che su Il Manifesto ha recentemente dichiarato di essere stato querelato dall’industriale Francesco Gaetano Caltagirone per l’accusa di presunta illegittimità nell’eventuale realizzazione del villaggio per le Olimpiadi del 2024 nelle aree dell’Università di Tor Vergata. Ente che intrattiene un vecchio contratto di “concessione di committenza” con un gruppo di imprese di cui fa parte anche la Vianini, di proprietà appunto del gruppo Caltagirone.

Dall’altro lato, su tutti i principali quotidiani Mauro Baldissoni, direttore generale della società sportiva Roma, quantifica in 60 milioni di euro i danni che sarebbero causati da un eventuale veto posto dal nuovo sindaco alla realizzazione dello stadio di Tor di Valle.

Il tema centrale non è solo il vecchio, irrisolto problema dell’urbanistica contemporanea, ovvero l’opportunità e la legittimità di varianti puntuali allo strumento urbanistico vigente, ma soprattutto l’applicazione della concorrenzialità sia per gli interventi di trasformazione urbana, sia per la realizzazione delle opere pubbliche.

Come si forma l’esigenza di variare uno strumento urbanistico o ? Come si esercita e si rispetta il principio di contemperare tutti gli interessi in gioco? Come si valutano le conseguenze generali ed economiche delle varianti? In specie oggi, quando il principio di concorrenza dovrebbe essere applicato, malgrado l’indifferenza di amministratori e tecnici, anche all’urbanistica?

Il caso del nuovo stadio della A.S. Roma è esemplare. Proposto originariamente da un gruppo imprenditoriale e dalla società sportiva, è diventato di pubblico interesse con una delibera del dicembre 2014, figlia dell’urbanistica “emozionale” della giunta Marino. A prescindere dalla valutazione che tale circostanza possa determinare il diritto di poter rivendicare un danno economico così ingente per le sole spese di progettazione, i nodi principali sono altri.

Chi contesta la realizzazione dello stadio, contesta in realtà due cose: perché lo stadio e perché i grattacieli progettati da Libenskind?

Lo stadio è per volontà del promotore, in un’area con destinazione urbanistica (ex ippodromo) conforme alla realizzazione del nuovo impianto sportivo, lo stadio.

La risposta sul perché i grattacieli, è più complessa. La loro realizzazione è concessa dal Comune al promotore al fine di poter finanziare le opere pubbliche, per oltre 300 milioni, ritenute necessarie dallo stesso Campidoglio per la funzionalità dello stadio. Tali opere sono poste a carico del privato in base ad una norma compensativa presente nel piano regolatore vigente che prevede che i 2/3 del valore economico di una variante urbanistica vadano a vantaggio del comune stesso. Ovvero il valore della trasformazione urbanistica si ripartisce: un terzo al privato e due terzi al Comune. Con questi due terzi si realizzano le opere pubbliche, ma il meccanismo ritenuto virtuoso da gran parte “dell’urbanistica riformista” genera due paradossi: che l’imprenditore “di maggioranza” nell’operazione è il comune e non il promotore e che i grattacieli sono perché è il modo di finanziare le opere pubbliche necessarie per realizzare lo stadio.

Altra questione aperta è, perché per le opere pubbliche il promotore non applica il codice degli appalti, mettendo sia la progettazione che i lavori in gara? Per evitare ciò sarebbe anche impossibile il ricorso al controverso art. 20 del nuovo codice dei contratti, inapplicabile retroattivamente.

In conclusione: perché allora realizzare stadio, grattacieli e opere pubbliche invece che da un’altra parte?

La risposta la dovrà dare, chiunque sarà, il futuro sindaco che non potrà fare a meno di mettere in gioco un’urbanistica moderna. Un’urbanistica per operazioni di recupero e trasformazione che, all’interno di una chiara strategia territoriale, contemperi non solo gli interessi privati con quelli pubblici (distinguendone i ruoli), ma anche gli interessi tra privati. Solo con l’applicazione, finalmente anche in questo settore, del principio di concorrenza, si potranno mettere in competizione le proposte imprenditoriali e dare una risposta alla domanda “perché lì e non là” ed implicitamente quando e come.


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