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Vi racconto la vittoria della grillina anomala Virginia Raggi. Parla Ajello (Il Messaggero)

Virginia Raggi la definirei un animale politico a sangue freddo, molto diversa dall’identikit tipico dei grillini che abbiamo conosciuto in questi anni“. Dalle colonne del quotidiano Il Messaggero, Mario Ajello (in questi giorni in libreria con “Disastro Capitale” edito da Rubbettino) ha commentato la campagna elettorale della città eterna, le polemiche e gli scontri tra i candidati in lizza, le ambizioni, i punti di forza e di debolezza. Adesso che tutto è finito – con la netta affermazione della grillina, diventata nuovo sindaco di Roma ai danni dell’esponente Pd Roberto Giachetti – l’editorialista torna su quanto accaduto nelle ultime settimane, e poi domenica alle urne, in questa conversazione con Formiche.net.

Diceva che Raggi in questi mesi ha dimostrato di essere un animale politico a sangue freddo. In che senso?

Certamente non la si può considerare una pasionaria. E’ una grillina atipica come emerge chiaramente se la paragoniamo, ad esempio, a Roberta Lombardi, la principale esponente dei pentastellati della Capitale. C’è una differenza notevole rispetto al M5S delle origini: Raggi sa parlare a quella parte di Roma che è formata dalla borghesia professionale e che comprende anche il cosiddetto generone romano.

La sua che campagna elettorale è stata?

Ha fatto una campagna elettorale minimalista: ha cercato di cavalcare l’onda grillina, ha puntato più sul brand cinquestelle che sulla propria persona ed è stata attenta a non scontentare certi interessi, come dimostra quanto detto in occasione dello sciopero Atac durante la prima partita dell’Italia agli Europei: “E’ stata solo una coincidenza“. Oppure si pensi alle parole pronunciate a proposito dell’Ama: “Non useremo lo spadone di Kill Bill“. In Campidoglio però la situazione sarà diversa, non sarà semplice per lei non scontentare nessuno: il cambiamento di cui Roma ha disperata necessità, di per sé crea divisione. Una campagna elettorale che definirei perfetta.

Il suo giornale ha duramente criticato Raggi la quale ha ricambiato in più di un’occasione, comprese le parole pronunciate durante la sua prima conferenza stampa da sindaco. Ora che succederà?

Credo che adesso si debba stare a guardare: incalzeremo la giunta grillina sul merito delle cose che farà. Non bisogna però avere atteggiamenti preconcetti se non altro per rispettare quel 67% dei romani che hanno votato per Raggi. Seguirla, tallonarla e giudicarla come impone la dialettica democratica e come l’informazione deve fare rispetto a qualsiasi titolare del potere politico. Roma non ha bisogno di ulteriori risse o guerre ideologiche.

Che ne pensa dei primi nomi della giunta – di cui fa parte anche l’urbanista anticostruttori Paolo Berdini – annunciati da Raggi?

Mancano ancora diversi pezzi, sono stati annunciati solo i nomi di quattro assessori. Mi auguro che l’urgenza dei problemi della capitale le faccia completare il prima possibile la giunta.

In prima pagina c’è anche un’altra grillina, Chiara Appendino, che a Torino ha sconfitto Piero Fassino. Che paragone si può fare con Raggi?

Chiara Appendino mi sembra più strutturata e anche più fortunata perchè dovrà gestire un contesto – quello torinese – che non è minimamente paragonabile a quello romano. Dovrà migliorare una situazione cittadina già positiva e rodata mentre Raggi si trova tra le mani solo macerie. Il nuovo sindaco di Roma porta con sé un’inesperienza piuttosto evidente, come ammette lei stessa. Speriamo che sappia trovare le competenze giuste. Non basta dire: “Onestà, onestà, onestà“. Questa tripletta va coniugata anche con un altro tris: “Capacità, capacità, capacità“.

Tornando a Roma, cosa si può dire della performance dello sconfitto Giachetti?

Roberto Giachetti ha fatto tutto il possibile. Per la sua storia personale era l’uomo giusto per correre: non apparteneva alla ditta bersaniana prima e non appartiene all’apparato oggi, è un renziano ma ante litteram. Insomma il candidato non era sbagliato, era troppo penalizzante la condizione di partenza con una città piagata da Mafia Capitale e una parte del Pd partecipe dei poteri marci. Una città nella quale Ignazio Marino ha governato malissimo ed è stato deposto in modo anche peggiore.

Questa distanza di oltre trenta punti percentuali è stata però clamorosa. Cos’è mancato alla fine a Giachetti per avvicinarsi almeno un po’ di più a Raggi?

A Giachetti è mancato il vecchio Pd che, con i suoi capibastone e i suoi esponenti più radicati sul territorio, dopo Mafia Capitale è stato in buona parte – e secondo me anche giustamente – fatto fuori. E’ mancato il partito al candidato Giachetti: il partito vecchio che non c’è più e il partito nuovo che non c’è ancora. Questo è il vero problema di Matteo Renzi non solo a Roma: non può credere che bastino la sua leadership e la sua persona per governare i territori. Per riuscirci l’unica forma conosciuta finora dalla storia italiana è quella dei partiti. Secondo me Renzi non può svicolare da questa evidenza.

Quanto è duro da digerire per il premier l’esito del ballottaggio?

Non c’è dubbio che tra i perdenti di questa tornata elettorale vi sia il Pd, anche se il successo di Sala a Milano evita di farci parlare di disfatta. Adesso si tratterà di vedere quanto questa battuta d’arresto del renzismo spingerà Renzi a cambiare registro, a mostrarsi meno one man show e più leader inclusivo. Non è stato comunque un referendum contro Renzi, è stata piuttosto una rivolta popolare e trasversale contro il sistema vigente. In esso viene fatto rientrare anche il rottamatore che, dopo una prima fase di rottura, evidentemente viene avvertito come parte dell’establishment.

E’ Torino per il Pd il caso più allarmante?

Quanto avvenuto nel capoluogo piemontese è impressionante. Qui il Pd ha governato bene, sotto sotto pure i grillini in cuor loro pensavano che Fassino non fosse stato un cattivo sindaco. Ma sull’aspetto amministrativo ha avuto la preminenza quello della rivolta. Del resto questo tipo di atteggiamento dei cittadini rispecchia quanto sta succedendo anche in altri Paesi europei: si pensi alla Spagna con Podemos, al populismo lepenista in Francia, agli umori di tutti coloro che in Inghilterra vogliono la Brexit.

Torniamo a Roma: cosa pensa che accadrà ora in casa Pd?

Tra poco ci sarà il congresso del Pd romano che sceglierà un segretario vero e proprio. il problema è che non si vedono grandi barlumi di possibile rinnovamento in quell’area politica. Secondo me la vera questione è che a Roma è ormai finito il vecchio Pci il quale – seppur variamente ridenominato – nella capitale aveva sempre rappresentato il cuore della sinistra. Tra gli scandali di Mafia Capitale e la stanchezza della sinistra storica si è così arrivati a una smobilitazione del partito.

Che ne pensa invece dei renziani di Roma? Non sembra siano riusciti ad assumere una posizione egemone all’interno del Pd.

Non esiste un partito renziano a Roma così come non esiste quasi da nessuna parte, diciamoci la verità. Non esiste a nella Capitale ma neppure a Napoli dove c’è stato un risultato pazzesco. Tranne Vincenzo De Luca e pochi altri esponenti politici non esiste in Campania e neanche in Sicilia, se non limitatamente a gruppi di potere che si riposizionano. Questo è il vero tallone d’achille di Renzi, l’incapacità di costruire un partito che non dico sia a sua immagine e somiglianza ma che sia comunque capace di rappresentare qualcosa di diverso da quello che è stato Pci, Pds, Ds.

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