Sale alle stelle la tensione intorno alle sofferenze delle banche italiane, cioè i crediti che hanno meno probabilità di essere restituiti. Un “bubbone” che vale circa 85 miliardi come ammontare netto e circa 200 in termini lordi (vale a dire non considerando gli accantonamenti già effettuati a bilancio). Non a caso, è proprio per risolvere questo problema, che potrebbe portare a un buco nei bilanci delle banche dalla bellezza di 40 miliardi, che il premier Matteo Renzi sta battagliando con l’Unione europea, e con la Germania in particolare, con l’obiettivo di spuntare una garanzia pubblica sulle ricapitalizzazioni (qui l’articolo di Formiche.net). Tra le situazioni più urgenti, c’è da risolvere quella di Mps (una soluzione alla greca in vista?), a cui la Bce ha da poco mandato una lettera invitandola a risolvere il problema dei crediti deteriorati.
COSA E’ SUCCESSO CON IL BANCO POPOLARE
Per rendersi conto di quanto ormai la tensione intorno alle sofferenze si tagli con il coltello basta raccontare quello che è successo al Banco Popolare. Innanzi tutto, va ricordato che la Popolare guidata da Pier Francesco Saviotti, appena il mese scorso, ha completato con successo un aumento di capitale da 1 miliardo che, come più volte sottolineato da Formiche.net, serviva proprio per mettere in sicurezza i conti sul fronte dei crediti deteriorati in vista del matrimonio con Bpm (diventando più grande, il Banco aveva bisogno di aumentare le coperture sulle sofferenze). Se, tuttavia, da una parte, la ricapitalizzazione è stata chiusa con successo senza l’intervento del consorzio di garanzia (cosa non di poco conto visti i tempi), dall’altra, in Borsa le azioni del Banco sono crollate, “bruciando” capitalizzazione per ben oltre il miliardo di aumento. E precipitando le azioni dell’istituto hanno trascinato giù anche quelle della Popolare di Milano, poiché erano già stati fissati i valori di concambio dei titoli in vista della fusione. Una circostanza che dal quartier generale di Bpm (e tantomeno dagli azionisti) non deve essere stata accolta con salti di gioia.
RETROSCENA E SEGRETI
Ebbene, il Sole 24 ore del 3 luglio, in un articolo a firma di Claudio Gatti, ripercorre la vicenda aggiungendo alcuni gustosi retroscena e alcune piccate dichiarazioni di Saviotti che ne approfitta per togliersi qualche sassolino dalle scarpe nei confronti della Bce, a cui da un po’ di tempo a questa parte è passata la vigilanza bancaria degli istituti dell’area dell’euro. Gatti fa riferimento a uno studio sui crediti deteriorati a firma di Price Waterhouse Coopers (Pcw) sui crediti deteriorati (non performing loan o npl) e scrive: “Dal confronto dei dati delle dieci maggiori banche nazionali, è emerso che il Banco, come gruppo, ha chiuso il 2015 con il tasso degli npl al netto degli accantonamenti dell’8,2 per cento, inferiore solo a quello del grande malato d’Italia, il Monte dei Paschi (8,7 per cento), e quasi doppio della media che Pcw attribuisce agli altri otto istituti (4,3 per cento)” passati al radar. Ecco perché “la preoccupazione su questi dati sfavorevoli del Banco ha contribuito a spingere Francoforte a inviare a Verona uno dei suoi ispettori più rigorosi, Ferdinando Cutino, che ha avviato un’attenta verifica del portafoglio crediti intesa anche a validare il modello di business dell’istituto”.
LA REAZIONE DI SAVIOTTI
La mossa della Bce fa letteralmente infuriare l’ad del Banco Saviotti che, in alcune dichiarazioni riportate dallo stesso Gatti nell’articolo, fatica evidentemente a contenere la stizza: “I nostri npl – dice Saviotti – sono tanti, ma non sono così tragici come si vuol far credere […] Ci hanno chiesto livelli di copertura (sulle sofferenze, cioè di accantonamenti a bilancio, ndr) pari a quello delle prime tre banche italiane, quando banche come Ubi hanno coperture molto più basse”. E ancora: “Io spero che professionisti rigorosi come Cutino vadano in tutte le banche. Perché abbiamo visto che cosa è successo dove non sono andati, o hanno fatto visite all’acqua di rose. I nostri crediti deteriorati sono aumentati perché abbiamo fatto quello che ci è stato chiesto: abbiamo sistemato il passato facendo una classificazione corretta. E man mano che classificavamo, abbiamo anche fatto gli accantonamenti”. Saviotti sottolinea, inoltre, che le coperture della sua banca sui prestiti di difficile esigibilità hanno un alto tasso di garanzia: “Se si guarda al totale delle coperture si vedono numeri che forse ci fanno fare una figura meno bella di altre banche, ma noi abbiamo più garanzie di altri. Al netto dagli accantonamenti abbiamo 5,5 miliardi di sofferenze, con sei miliardi di garanzie”.
I DUBBI DEL GIORNALISTA
Un punto, quest’ultimo, su cui però Gatti del Sole 24 ore, evidentemente pronto a concedere ben poche attenuanti alla banca con base a Verona, appare scettico: “Anche qui – scrive il giornalista – occorre far notare che quei sei miliardi non garantiscono direttamente le sofferenze nette, e sono a valore di libro. Quindi, se si andasse in asta, occorrerebbe scontarli”. La difesa di Saviotti e gli appunti che gli muove il giornalista proseguono anche nel passaggio successivo del pezzo del Sole 24 ore, titolato “Il Banco, gli npl e il «modello di business»”. Ebbene, aggiunge Saviotti: “Non abbiamo una grande redditività, perché non ce l’ha il sistema. Il nostro modello di business è lo stesso di Bpm o di Bper. È il modello di banche legate al territorio che soffrono perché soffre il territorio. Ma con quello che abbiamo fatto, e che faremo, mi sento obiettivamente tranquillo. Nel 2013 abbiamo erogato 4,1 miliardi, nel 2014 siamo arrivati a 5,8, nel 2015 a 8,9 e nel 2016 supereremo i 9 miliardi di erogazione”. E Gatti replica subito: “Quando gli facciamo notare che gli altri istituti hanno fatto di più e che conseguentemente il Banco ha perso quote di mercato, Saviotti risponde con fermezza: «Io erogo con intelligenza. Evitando gli errori del passato»”.
LA SITUAZIONE DI BPM
Tuttavia, Gatti è pronto a concedere che la fusione con la Popolare di Milano possa cambiare le cose per il Banco: “Comunque sia – scrive il giornalista – la fusione con Bpm potrebbe portare a una svolta, con una politica di gestione dei crediti più aggressiva. Da Milano si sottolinea (ma non è ben chiaro chi sia a sottolineare questo aspetto; forse qualcuno di vicino a Bpm dato il contenuto dell’osservazione, ndr) infatti che l’ad Giuseppe Castagna, destinato a guidare il gruppo che nascerà, ha dato prova di una politica di crediti decisamente più incline allo sviluppo dei volumi”.