Sarà stato forse a causa della comprensibile convulsione creatasi nelle redazioni per i terribili fatti di Monaco, ma i giornali non hanno potuto farsi un’idea chiara sugli sviluppi del caso di Stefano Parisi – il mancato sindaco di Milano offertosi a “dare una mano” a riorganizzare e “federare” il centrodestra – dopo un vertice dei dirigenti di Forza Italia svoltosi ad Arcore attorno al convalescente Silvio Berlusconi.
Mentre al Sole 24 Ore risulta “nessuna investitura da Berlusconi a Parisi”, alla Stampa, che ne aveva lanciato l’offerta con un’intervista, e al Giornale della famiglia dello stesso Berlusconi è risultato qualcosa di diverso, se non di opposto. “Parisi sia il manager di Forza Italia”, ha attribuito La Stampa all’ex presidente del Consiglio a colloquio con i suoi inquieti generali, colonnelli e caporali. “Ho parlato con Parisi e gli ho chiesto di darci una mano in questa fase di rilancio di Forza Italia”, ha riferito Il Giornale.
Non contribuisce a fare molta chiarezza neppure una nota diffusa da Arcore dopo il vertice. Una nota in cui si parla di condivisione dell’”intento di rafforzare il partito anche con il contributo” di uomini come Parisi. Siamo quindi a livello di intenzioni, di cui si sa che, per quanto buone, sono lastricate le vie dell’Inferno. Eppure le notizie provenienti dalla residenza di Berlusconi sono bastate ed avanzate al direttore del Foglio Claudio Cerasa, che aveva appena pranzato con lo stesso Parisi a Trastevere mangiando supplì, carciofi e tagliolini ai gamberi, di scorgervi “una iniziale e simbolica benedizione ufficiale” all’operazione.
Ci sarà pure stata questa “iniziale e simbolica benedizione ufficiale”, ma non mi sembra francamente che Berlusconi sia riuscito a rimuovere i dubbi, a dir poco, dei suoi ufficiali e sottufficiali, allarmati in particolare da quel “no” referendario annunciato da Parisi alla riforma costituzionale targata Renzi ma accompagnato, per renderlo forse “intelligente” secondo le raccomandazioni attribuite al solito uomo di mezzo che è Gianni Letta, con l’auspicio che alla bocciatura del presidente del Consiglio non segua una crisi di governo. Che è invece la cosa reclamata con le vene gonfie di sangue dal capogruppo della Camera Renato Brunetta in Forza Italia e da Matteo Salvini fuori. Un Salvini peraltro che, nonostante i pareri e le raccomandazioni paciose del collega di partito e governatore della Lombardia Roberto Maroni, non ha nessuna voglia di farsi “federare” in un nuovo centrodestra da Parisi. Cui preferisce chiedere conto, al pari della solita Daniela Santanchè ancora nel partito di Berlusconi, della sconfitta rimediata nelle elezioni comunali di Milano, sia pure di stretta misura.
Oltre alle competenze che gli riconoscono giustamente anche gli avversari politici, Stefano Parisi deve avere un bel sistema nervoso se ha reagito e reagisce a tante pitonate confermando la sua disponibilità e spiegandone le ragioni a chiunque gliele vada a chiedere, con la sola preoccupazione – per non aggravare la situazione – di rifiutare due qualifiche: quella di “rottamatore”, già troppo abusata da Matteo Renzi nel suo campo, e quella di “leader”. Egli continua a preferire la figura del “federatore”, anche se c’è gente, come si è visto, che ha ben poca voglia di farsi federare da lui.
Il guaio per Parisi, ma anche per il chiarimento del quadro politico, per non parlare della necessità della più aulica stabilizzazione del sistema politico invocata da chi reclama paradossalmente anche da sinistra un centrodestra di nuovo e davvero competitivo, è che il problema non è solo di parole o di “vocabolario”. Che è l’ottimistica traduzione della questione fatta sul Corriere della Sera da Francesco Verderami. Il problema è di “contenuti”, come li chiamava nella cosiddetta Prima Repubblica il compianto Ugo La Malfa. O di programmi conciliabili con le ambizioni degli uomini e dei partiti che si contendono i voti, non importa se di Renzi o di Beppe Grillo.
Già dichiaratamente impegnato a preparare per settembre un’assemblea, il buon Parisi si deve guardare dal rischio di ballare una sola estate come “federatore” o come altro preferisce chiamarsi e farsi chiamare. Magari raccomandando ai vari Giuliano Ferrara, Claudio Cerasa e Vittorio Feltri di non appoggiarlo troppo per non allarmare ancora di più chi lo teme in quel nido di vipere o pollaio cui, a giorni alterni, somiglia il centrodestra che fu.